Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Antropologia

E’ mejo er vino de li Castelli

Caratteristica fraschetta

Ma però, noi semo quelli,
che jarisponnemo n'coro:
"è mejo er vino de li Castelli
che questa zozza società."

In un articolo del Corriere della Sera del 16 luglio 1996, a firma di Martellini Laura, si esponeva la preoccupazione dei gestori delle fraschette che denunciavano una preoccupante crisi dei caratteristici locali castellani a vantaggio delle anglosassoni birrerie. A dodici anni di distanza la paura manifestata dagli osti dei Castelli Romani sembra non aver avuto alcun fondamento, la crisi degli anni novanta si è risolta con il boom di presenze, soprattutto di giovani avventori romani, registrato nei primi otto anni del nuovo millennio.
Difficile spiegare il cambiamento di tendenza avvenuto in questo arco di tempo, in un mondo in cui qualsiasi prodotto viene venduto dopo attente indagini di mercato, di studi e di lanci pubblicitari, la fraschetta ha ottenuto nuovamente l'attenzione del cliente nonostante l'assoluta mancanza di rilancio dell'immagine e di promozione pubblicitaria. Tuttavia una spiegazione potrebbe essere suggerita, una interpretazione del fenomeno legata più a leggi dettate dai rapporti che l'uomo instaura con il territorio che lo ospita e con le vicende storiche e culturali che lo riguardano. E' la forza della tradizione che, pur mutando nel tempo veste e forma, si rinnova con gli stessi significati e valori.
Andando indietro nel tempo troviamo che nel medioevo i viticoltori adottarono l'usanza di apporre una "frasca", cioè un ramo o di alloro o, più spesso, di leccio, sull'architrave della cantina per segnalare ai clienti che il vino nuovo era arrivato, da qui l'abitudine di chiamare "fraschette" quei locali.
Da quel tempo antico fino ai moderni anni '70 le fraschette furono dei luoghi adibiti alla degustazione e alla vendita del vino, arredate alla meno peggio con panche e tavoli di umile fattura e caratterizzate dalla presenza delle grandi botti colme del nettare di Bacco. Tuttavia da sempre gli avventori usavano accompagnare le bevute con vivande portate da casa o acquistate durante il tragitto, tra i cibi più gettonati spiccano le fave con il pecorino, le coppiette, la porchetta.
Con gli anni '80 alcune fraschette si organizzarono con una cucina e con la vendita diretta degli alimenti, adattamento di una istituzione secolare ai ritmi convulsi e frenetici del mondo moderno, i clienti non hanno più il tempo di preparare il fagotto con le vivande, l'oste è stato costretto a trasformarsi in ristoratore. Rimane l'uso della degustazione del vino "sciolto" e, dopo la crisi di fine millennio, si assiste a un vero e proprio rifiorire di questi tinelli amati particolarmente dai romani di ogni tempo.
Certo non sono cambiati solo i servizi offerti da questi pittoreschi locali, anche i clienti abituali non sono più gli stessi. In passato la fraschetta era un luogo di aggregazione, eletta a centro di vita sociale, almeno fino agli anni cinquanta, da una parte dei membri della comunità castellana. I bevitori, soprattutto i più anziani, raccontavano le storie che si tramandavano da secoli e secoli e che costituivano la condivisione dell'identità culturale dei paesani. Al di là dei casi di alcolizzati cronici, quello era il luogo dove si riunivano uomini appartenenti a una società legata ai valori e ai simboli della cultura contadina, soggetta alle avversità di una vita difficile, pericolosa e faticosa, bicchiere dopo bicchiere si sfogava la rabbia e la paura dovute a una esistenza dura e, aiutati dai fumi dell'alcol, celebravano un corale rito catartico e apotropaico.
Ma la fraschetta non era solo un posto dove si mescolavano miserie e speranze, era anche un ambiente dove si produceva cultura popolare, si praticavano di una specie di giochi verbali chiamati "rimbrotti", o "dispetti", o "rimbalzi", erano delle esibizioni di rime a braccio, solitamente si usavano l'endecasillabo, più raffinato, o l'ottonario, tipico delle ballate popolari.
C'erano anche passatempi, tipici di quell'ambiente, che poteva scatenare la violenza dei giocatori, a volte con gravi conseguenze. I giochi più conosciuti e praticati erano la morra e la passatella, quest'ultima era il vero gioco da osteria, ma la morra presentava maggiori rischi di violenze. Oltre alla grande tensione che si accumulava durante il gioco, l'altro pericolo era anche quello di perdere somme o beni materiali, perché è un vero e proprio gioco d'azzardo.
Ritornando alla società contadina tipica dei Castelli Romani fino agli anni '50 un'altra funzione delle fraschette era quella di fungere da ufficio di collocamento. Chi cercava lavoro sapeva che ad una certa ora nelle fraschette passava il sensale, figura di mediatore tra i lavoratori e i proprietari terrieri, quindi i braccianti agricoli si recavano in quei locali per concordare il lavoro.
Ai nostri giorni questo mondo non esiste più, rimane intatta presso i romani la passione per la "gita fuori porta" e l'abitudine di affollare le fraschette, locali semplici e demodé, forse perché oggi, come allora, in quei luoghi è più facile liberarsi in modo genuino dallo stress quotidiano e affrancarsi dalle formalità imposte dalla cultura dell'immagine.

Per la rubrica Antropologia - Numero 76 novembre 2008