Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Arte

Oltre l'estetica con Raffaele Gavarro

Intervista di Francesco Pernice

Proseguendo nella riflessione sull'arte contemporanea, iniziata con il numero di marzo 2008, abbiamo incontrato Raffaele Gavarro, apprezzato critico d'arte, curatore di qualificate rassegne, e autore del libro "Oltre l'estetica" edito da Meltemi.
Le analisi che Gavarro fa in questo libro, sugli avvenimenti dell'arte negli ultimi anni, sono di grande aiuto per la comprensione dell'arte contemporanea spesso considerata, dal grande pubblico, insensata, di dubbio valore se non addirittura aberrante.
Ho posto a Gavarro alcune domande.

Francesco Pernice - Questa intervista sarà pubblicato sulla rivista Vivavoce edita dal Consorzio SBCR (Sistema Bibliotecario dei Castelli Romani). Nel precedente numero titolavo il mio intervento: "L\'arte è sempre contemporanea?". Per avvalorare la risposta, sottesa alla domanda, che il titolo poneva portavo come esempio Masaccio e la Cappella Brancacci a Firenze e reiteravo la domanda invitando il lettore a porsi come contemporaneo a Masaccio.
Quindi la risposta metteva in luce che una certa difficoltà nella comprensione dell'opera d'arte, implicita nell'essenza stessa dell\'operazione artistica, si è avuta in ogni epoca.
Oggi queste difficoltà si presentano con maggiore forza?

Raffaele Gavarro - Cominciamo con la precisazione che "Oltre l'estetica" è un libro di critica d'arte e non di filosofia estetica. Ovviamente è un libro che ha delle difficoltà, o meglio delle complessità; questo perché, in questo momento, l'arte ha delle difficoltà proprie.
È molto difficile vedere un'opera d'arte di oggi e considerarla tale o comunque per una persona non esperta valutarla dal punto di vista dei contenuti.
Questo succede perché in tutta la nostra vita culturale, ma anche nella vita quotidiana, c'è una continua evoluzione che tende alla complessità.
C'è una bellissima scritta sulla facciata del Kunstmoderne di Berlino, che dice che l'arte è sempre contemporanea.
Quando Michelangelo affrescava la Cappella Sistina o Leonardo dipingeva la Gioconda in quel momento erano contemporanei dei loro contemporanei. Naturalmente dalla Gioconda di Leonardo a Les demoiselles d'Avignon di Picasso, o all'Orinatoio di Duchamp, c'è un'enorme distanza, delle differenze così sostanziali che se un alieno arrivasse sulla terra, e guardasse l'una e le altre, avrebbe qualche problema a stabilire una continuità logica.
L'arte della nostra contemporaneità, l'arte del presente, è un linguaggio molto specialistico, nel quale ci sono elementi, situazioni, parametri di giudizio che di fatto rendono difficile la sua comprensione al grande pubblico. Il nostro sforzo è quello di ridurre questo gap, attraverso una comunicazione, o meglio una divulgazione, che tenga conto di queste difficoltà.

F.P. - Bisogna comunque riconoscere che l'arte dei nostri giorni ha scavato una voragine tra sé ed il pubblico rispetto ai periodi precedenti. Ci troviamo quindi di fronte ad una condizione del tutto inedita della storia dell'arte, un fenomeno tanto radicale quasi da non riconoscere più l'arte come tale?

R.G. - Nel mio libro si fanno una serie di analisi per dimostrare come da un certo punto in poi, ed esattamente dagli inizi degli anni '90 del secolo scorso, c'è stata una frattura molto netta tra quella che era l'arte del '900, che a sua volta aveva conosciuto una frattura dall'arte dell' '800, con l'impressionismo prima e poi con Picasso e tutto il cubismo.
Per tutto il '900 una certa idea di estetica ed un rapporto con l'arte del passato c'era stato, le avanguardie storiche avevano ovviamente operato delle interruzioni rispetto a quello che era stata la storia dell'arte classica. All'estetica si opponeva un'antiestetica, ma di fatto i parametri di riferimento rimanevano invariati.
Il primo artista che ha interrotto brutalmente questa continuità è stato senza dubbio Marcel Duchamp. Con i ready made ha spostato completamente il luogo dell'arte, e ha reso l'opera un "prodotto" in cui l'osservatore era determinante quanto l'artista per il raggiungimento del suo stesso statuto di opera d'arte.
Ecco, da questa rivoluzione partono una serie di questioni essenziali che hanno permesso i diversi passaggi del Novecento e in particolare di quanto accaduto alla fine del secolo scorso.

F.P. - Sembrerebbe che il valore estetico, in quanto si sostanziava nel valore etico e sociale, venendo a mancare nell'arte contemporanea la riduca a semplice intervento di sottolineatura e di comunicazione di fatti quotidiani. È possibile che questa novità dia la possibilità di sviluppare un'arte che sia pubblica, eticamente impegnata e socialmente utile?

R.G. - All'inizio degli anni Novanta ci sono due mostre che segnano il passaggio in modo significativo e definitivo. Si tratta di "Post human", curata da Jeffrey Deitch, e della Biennale di Venezia del 1993 di Achille Bonito Oliva. In queste due mostre, in modi diversi ma analoghi nella sostanza concettuale, l'estetica lascia il posto alla vocazione etica dell'arte.
In entrambe le mostre gli artisti lavorano sulle condizioni in cui si trova l'uomo, sul suo rapporto con l'ambiente che si sta tecnologizzando, e sui cambiamenti che tale rivoluzione impone. L'arte cerca un proprio ruolo, che non può più essere quello di proporre bellezza in un ambiente che si è iperestetizzato, ma che è appunto quello di riflettere sulle problematiche che tali innovazioni comportano. Da quel momento l'arte continua a lavorare in tale direzione, in modi sempre più espliciti. E oggi ci troviamo nel pieno, nella fase matura, di questa riflessione e del conseguente nuovo posizionamento dell'arte.

F.P. - Abbiamo necessità del bello e naturalmente del suo opposto, la vita è continuamente dedicata alla ricerca del bello, dei valori estetici; in tutte le scelte quotidiane che facciamo questo fattore è presente. Perché l'arte contemporanea non può più contribuire a questa nostra naturale necessità?

R.G. - Quotidianamente facciamo distinzioni tra il bello e il brutto. Se ci compriamo una macchina vogliamo, o desideriamo che sia bella, e così per gli abiti, per l'arredamento, per l'architettura, come per il nostro aspetto fisico. La bellezza è il nostro desiderio quotidiano. Una bellezza che dipende, naturalmente, da quello che i media ci comunicano, ci impongono come parametro.
L'arte non può e non vuole partecipare a queste dinamiche. Quello che ricerca è piuttosto la comprensione, e lo svelamento, delle strutture del nostro quotidiano. Cerca sotto la pelle la sostanza della realtà. E sotto la superficie non trova la bellezza, ma le ragioni dei nostri comportamenti e del nostro essere.
In questo periodo sto finendo di scrivere il mio nuovo saggio, che ha il titolo ancora provvisorio di "Arte ed etica". È lo step successivo e il completamento di "Oltre l'estetica", e appunto ragiona su come l'estetica sia stata abbandonata a favore dell'etica e soprattutto su come comunicare questo cambiamento. L'importante è comprendere che l'arte ha oggi un nuovo ruolo e che deve essere guardata e fruita in termini diversi dal passato. Passare dalla Gioconda di Leonardo all'Orinatoio di Duchamp, per arrivare agli animali sezionati e immersi nella formaldeide di Damien Hirst, tanto per fare qualche esempio, presuppone un profondo cambiamento di percezione. Si deve guardare all'opera d'arte del presente, tenendola allineata a tutte le nuove condizioni - culturali, sociali, politiche, scientifiche - che hanno reso il nostro mondo quello che è oggi.

Per la rubrica Arte - Numero 70 aprile 2008