Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Archeologia

Iuppiter Latiaris, un santuario dalla storia millenaria

Via sacra

Il Monte Cavo, che oggi prende il nome dall'antica città latina di Cabum, domina i Colli Albani con i suoi 949 m di altezza ed offre a chi vi sale un panorama suggestivo ed emozionante per la bellezza dei dolci declivi e per le complesse vicende storiche che in età molto remota vi si svolsero. Anticamente era denominato Mons Albanus e sulla sua sommità sorgeva il santuario federale dei latini, rimasto sotto l'egida di Alba Longa sino alla distruzione di quest'ultima, intorno alla metà del VII secolo a.C.: il centro, che era dedicato a Iuppiter Latiaris, entrò allora nella sfera di influenza di Roma, con il conseguente spostamento del cuore religioso dei collegati presso il santuario di Diana Nemorense.
Sotto i Tarquini, con il crescente aumento della preminenza di Roma, fu eretto sul Campidoglio un tempio di Giove, che oscurò ed infine sostituì completamente con la sua fama quello della lega sul Monte Cavo, esattamente come avvenne per il tempio di Diana sull'Aventino, che costituì un'alternativa al culto nemorense. Il legame tra culto capitolino e culto del Mons Albanus si manifesta nella cerimonia del trionfo, che su decreto del senato era concesso ai generali romani vittoriosi e celebrato a Roma al ritorno dalle imprese belliche, oltrepassando la porta Triumphalis ed ascendendo con la pompa triumphalis fin sul Campidoglio. Chi non riusciva ad ottenere il trionfo dal senato, poteva celebrare la cerimonia in monte Albano. È proprio su questo monte che in origine era nato questo genere di cerimonia, di tradizione etrusca, così importante per la vita di una città come Roma, che aveva fondato la sua potenza essenzialmente sulle conquiste e che attribuiva ai suoi generali onorificenze quasi divine; soltanto in un secondo momento la celebrazione del trionfo era stata trasferita nell'Urbe.
Dell'antico santuario nulla rimane, ad eccezione di alcuni blocchi di tufo ormai fuori posto: il sito venne infatti stravolto dalla realizzazione di un oratorio nell'ultimo decennio del XVI secolo, nonché di un convento e di una chiesa nel corso del XVIII secolo. Attualmente non si è neppure in grado di affermare con sicurezza se al dio venne destinato un culto ipetrale (all'aperto) o se fu mai realizzato un vero e proprio edificio templare. Gli scavi hanno riportato alla luce solo costruzioni minori in pessimo stato di conservazione e di incerta identificazione; ogni ipotesi relativa alle fasi edilizie è destinata a rimanere orfana di precisi riscontri archeologici. Solo le stipi votive, portate alla luce nei secoli scorsi, hanno permesso di affermare con sicurezza che il luogo fu sede di intensa attività religiosa sin dall'età del Bronzo finale.
Molto ben conservata risulta invece l'antica strada che conduceva al santuario partendo dalla via Appia, all'altezza di Ariccia. Essa costeggia i limiti orientali del lago Albano (ove i tagli nella roccia mostrano le tracce dell'antico percorso), oltrepassa Palazzolo, area ricca di notevoli monumenti, inerpicandosi fin sulla sommità con una ripida ascesa. L'antico basolato, con i marciapiedi in peperino, interseca in più punti la via moderna e può essere ancora percorso a piedi lungo quasi tutto il percorso originario. È difficile immaginare una passeggiata più suggestiva: la fatica del salire è alleviata dalla bellezza del paesaggio e dalla consapevolezza di seguire i passi dei nostri più antichi progenitori. Secondo recenti ipotesi la via Latina, le cui origini risalirebbero all'età neolitica, avrebbe avuto come punto d'arrivo la cittadella latina di Cabum (in etrusco Cape, da cui deriverebbe anche il nome della porta nelle antiche mura repubblicane di Roma: Capena), sorta in un crocevia di antiche vie di transumanza.
Nell'antico santuario laziale si celebravano le Feriae Latinae, la cui data, in età storica, era fissata dai consoli il giorno stesso della loro entrata in carica (si tratta pertanto di feste conceptivae). Il momento culminante delle celebrazioni consisteva nel sacrificio a Giove di un toro bianco: le sue carni venivano distribuite ad ogni popolo latino partecipante - il cui nome veniva scandito ancora nella tarda età imperiale - come simbolo della originaria parità di diritti di tutti i membri della lega. Venivano portate al dio diverse offerte, distinte per comunità: si trattava dei più rappresentativi frutti dell'attività pastorale, la principale fonte di sostentamento dei prisci Latini, assieme ad alcuni simboli di pesci offerti delle comunità delle zone lacustri. Elemento curioso e degno di nota è inoltre l'uso da parte dei partecipanti alle cerimonie di utilizzare delle corde appese ai rami degli alberi per andare in altalena (oscillare): tale pratica, per noi curiosa e inspiegabile in un contesto sacrale, costituisce nell'antichità un tratto comune a più di un rito espiatorio-propiziatorio delle comunità mediterranee.
Calata la notte e conclusi i riti solenni, si procedeva alla purificazione (lustratio) dell'area sacra con del latte (il vino non sarebbe stato appropriato perché simbolo di una società agricola e pertanto non rappresentativa degli antichi latini). Nello stesso momento a Roma si chiudeva un intenso giorno di celebrazioni durante il quale i pii cittadini, sospeso il lavoro, avevano goduto dello spettacolo della corsa delle quadrighe in Campidoglio e assistito al sacrificio di un condannato a morte.
Per tutta l'età imperiale il culto di Iuppiter Latiaris e, di conseguenza, la fama del santuario del Mons Albanus, è ben documentato dalle fonti letterarie, che ricordano, ad esempio, l'audacia di Caligola nel presentarsi ai sudditi come novello dio dei latini e l'ipotesi di un sacrificio umano fatto al Latiaris dallo stesso Adriano (la vittima sarebbe stata Antinoo), ma alla fine del IV secolo l'oblio avvolse completamente il santuario e la sua millenaria storia.

Per la rubrica Archeologia - Numero 69 marzo 2008
Maria Barbara Savo |
Per la rubrica Archeologia - Numero 69 marzo 2008