Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Sagre & Profane

La cultura dei sapori

Le ottobrate romane e il rito della vendemmia

L'usanza delle ottobrate romane, tradizionali scampagnate del popolino "fori porta" il cui ricordo si perde nella notte dei tempi, andò via via consolidandosi come forma di svago ed evasione soprattutto fra le classi meno abbienti della Capitale, a partire dall'ultimo trentennio dell'Ottocento. Si usciva dalla città su carrozze stracariche: tre a cassetta, sei dentro e tre sul mantice. I cocchieri gareggiavano e canti e ritornelli si fondevano, al suono dei cembali, dei tamburelli e dei rozzi flauti di canna. Sia gli uomini che le donne erano molto ricercati nel vestire.
Si arrivava all'osteria "fuori porta" e, seduti a un tavolo sotto la pergola, si iniziava a consumare la "divina bevanda" già come aperitivo, tanto che spesso ancor prima di mangiare gli uomini erano già alticci. Poi ci si abbuffava con trippa, pancetta, gallinaccio, manzo, abbacchio... Quindi venivano i giochi: morra, bocce, ruzzola, altalena. Infine si prendevano chitarre e mandolini e si ballava sui prati il saltarello, ballo allusivo del corteggiamento, al suono di stornelli d'amore.
Le ottobrate erano naturalmente legate al rito della vendemmia
La raccolta dell'uva si praticava dalla metà di settembre alla fine di ottobre; essa veniva ritardata al massimo, in alcune zone - stagione permettendo - anche oltre la metà di novembre, per ottenere quel vino dolce e di intenso colore tanto ricercato dai consumatori romani.
Durante la raccolta, canti e stornelli echeggiavano nella campagna: versi tradizionali, ma anche di nuove rime affidate ai poeti a braccio. Stornelli a botta e risposta rimbalzavano da un filare all'altro ma anche da un vigna all'altra.
Al termine della vendemmia, il padrone della vigna invitava tutta l'òpra, la manovalanza, a pranzo. E si finiva sempre col rito della " 'mmostatura": a una vittima designata, veniva a sorpresa premuto e strofinato sul viso il grappolo d'uva più turgido e zuccherino.
L'uva veniva poi trasportata dalla vigna alla cantina, che quasi sempre si trovava in paese, in bigonce a mezzo di muli. L'ammostatura veniva eseguita generalmente pestando l'uva con i piedi in una cassa di legno, detta "pistarola", donde il succo passava al tino di fermentazione, con tutti i successivi passaggi e travasi, che portavano alla fine il vino, fra dicembre e febbraio, in botti di castagno relativamente piccole, con capacità di dieci ettolitri. La temperatura ambiente nelle cantine (grotte scavate nel tufo, sotto l'abitato storico) di solito era poco elevata (12-18 gradi) e pressoché costante, e l'umidità del 55/60 %, il che agevolava uno svolgimento prolungato e a temperatura relativamente bassa della fermentazione.
Con questo sistema, ogni cantina produceva tante piccole partite di vino che differivano anche molto fra loro. Invero non mancavano già allora importanti stabilimenti forniti di macchinari moderni (per allora) e di recipienti di fermentazione e di conservazione di grande capacità, il che rendeva possibile la preparazione di forti quantitativi di vino a tipo uniforme e abbastanza costante.
Per lo smercio vi erano in loco dei tinelli (magazzini), che inviavano un sensale per le vigne ad assaggiare il vino. Questi poi proponeva il prezzo, che data la scarsa concorrenza i viticoltori erano costretti ad accettare. Il sensale, uno dei cardini di questo sistema di commercializzazione, era poi il mediatore principale nelle trattative con gli osti di Roma: buona parte del vino prodotto nei Castelli, subito dopo la "svinatura", cioè a marzo/aprile, veniva infatti trasportato nella capitale, con carretti a vino, gestiti da privati e assunti dai tinelli.
I carrettieri partivano a notte fonda in gruppi di tre o quattro e, sul far dell'alba, erano fermi in lunghe code presso le barriere del dazio. I più accorti avevano fatto già sdaziare il prezioso carico da ambulanti che avevano anticipato la fila pagando per loro, dietro un certo compenso che ad alcuni di questi "banchieri" fruttò addirittura ricchezza.
Ogni carretto trasportava mezza botte di vino suddivisa, prima, in otto barili da 60 litri ciascuno ed una "cupella" di 20 litri e, dopo l'unificazione delle misure, in 10 barili da 50 litri.
Il carretto a vino aveva la sua particolarità nelle caratteristiche conchiglie (cupole a soffietto entro cui si riparava il conducente), nei colori, negli addobbi, nei finimenti. Oggi definitivamente scomparsi dalla scena, se ne può vedere ancora qualcuno riprodotto nelle sagre e feste dell'uva laziali, in qualche vecchia foto o disegno, o in qualche vecchio film.
Le osterie romane venivano di solito rifornite regolarmente ogni settimana o due, per evitare che il vino si alterasse, date le sue caratteristiche (acidità fissa generalmente bassa e residui zuccherini piuttosto elevati). La facile alterabilità e quindi presunta inesportabilità dei vini dei Castelli era davvero tale solo quando i fornitori erano vignaioli che avevano preparato il vino "alla buona". Non era così per alcune aziende dei Castelli che esportavano già all'estero negli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento: non solo a Napoli e Milano ma anche in Svizzera, Germania, Inghilterra, Olanda, Danimarca, America Meridionale, India, Hong Kong, Shangai.
I locali per la consumazione del vino in loco erano invece le fraschette (a Velletri, cafarielli). La fraschetta - così detta per l'usanza di esporre sulla porta una frasca di alloro per avvisare la clientela dell'arrivo del vino nuovo - aveva licenza per la mescita, acquistava il vino direttamente dai produttori e lo rendeva consumabile sul posto o a portar via fino ad esaurimento delle botti messe a mano. Le fraschette erano, e sono tuttora, una delle caratteristiche più antiche, più radicate e più utili al vignarolo, assillato dalla necessità di immediati incassi dopo il salasso dei lavori di vendemmia e di vinificazione...

 

Piccola bibliografia di riferimento

Lo vedi, ecco Marino ... : storia, tradizioni, leggende, personaggi, usi e costumi di uno tra i più antichi Castelli Romani / Giovanni Eleuterio Lovrovich, Franco Negroni ; foto e impaginazione [di] Fabio Menichelli ; grafica e disegni [di] Marco Rufo. - s. l. : s. n., (Ariccia ; Marino : Fotocomposizione Fotronix ; Tipografica Palozzi), 1981

I Castelli Romani : immagini dal passato : un viaggio nel tempo alla riscoperta delle celebri mete del "Gran Tour" e delle gite "for de porta" (...) / Renato Mammucari, Nello Nobiloni. - Roma : Newton Compton, 1988

Le tradizioni velletrane: feste e ricorrenze, riti e superstizioni: abitudini familiari e usanze pubbliche nel ciclo del calendario popolare, con alcune ricette della cucina tradizionale / Roberto Zaccagnini. - Velletri: Scorpius, stampa 2001

Per la rubrica Sagre & Profane - Numero 65 settembre 2007
Chiara Rondoni |
Per la rubrica Sagre & Profane - Numero 65 settembre 2007