Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Cinema

"La meglio gioventù"


Di Marco Tullio Giordana
Italia 2002

Mi permetto di avanzare qualche critica all'universalmente ben accolto film di Marco Tullio Giordana, che ci aveva profondamente commossi con i suoi Cento passi, film a nostro avviso di gran lunga superiore alla saga familiare della Meglio gioventù.
A Parigi, il film è stato proiettato nel grande complesso cinematografico del Ciné-Cité Les Halles, in due parti, la qual cosa comporta due biglietti d'ingresso, ma non di questo ci lamenteremo, giacché siamo propensi ad ammettere che la durata (sei ore!) spiega il prezzo.
Il fatto che gli attori (ah! quel Matteo per cui ci si dannerebbe l'anima!) siano quasi tutti eccellenti nulla toglie alle debolezze cinematografiche del film. E sebbene lo spettatore versi sinceramente tutte le lacrime di cui dispone (soprattutto nella seconda parte), la materia emozionale del film è purtroppo la stessa che fabbrica i famosi polpettoni.
Prima critica fondamentale a un'opera che risente troppo, a mio avviso, delle esigenze del committente, del fatto cioè che sia destinata ad essere digerita in sette episodi della RAI: la visione beata che soggiace allo svolgimento di tutta la storia riposa sull'insopportabile constatazione che tutti i personaggi, senza eccezione, sono positivi. Possibile che non ci sia neppure un cattivo? Che in questo mondo "familiare" tutti, in fin dei conti, siano buoni?
Del resto, la "famiglia" (intesa nella sua accezione larga: amici, compagni, relazioni) è come una monade sulla quale scivolano tutti gli eventi politici, anche i più tragici. Eventi che scorrono dietro la storia familiare, come i paesaggi del Bel Paese, e non sono altro che uno sfondo, un decoro, un pannello sul quale conviene non tanto soffermarsi quanto lasciar scivolare l'occhio. Quel che interessa, infatti, sono esclusivamente le vicende di questa famiglia, dagli anni sessanta ad oggi ( e perché no? Ma allora si potrebbero anche lasciar da parte gli eventi politici e le città italiane, il tempo e i luoghi, e non limitarsi a citarli come uno sfondo appunto: come una cartolina appesa sulla parete della storia).
Se le città sono dunque una carrellata decorativa e gli eventi, pur tragici, appaiono al massimo come un titolo di giornale, i personaggi femminili, con l'unica fulgida eccezione di Giorgia, appaiono, tutti, desolatamente banali. Giulia, per esempio, l'unica donna a uscire dalla "forma" madre-sorella-moglie-figlia, l'unica che per la sua scelta avrebbe meritato un'analisi più approfondita, appare disastrosamente rigida, prefabbricata, oscura.
Ma solo i personaggi maschili sembrano degni di analisi, e conquistano perciò la nostra simpatia, comunicandoci le loro emozioni. I personaggi femminili, invece, sono formalmente fragili e sembrano esistere al solo scopo di mettere in rilievo i personaggi maschili. Circola, d'altronde, in tutta la storia una specie di atmosfera incestuosa appena velata che nasconde una sorta di omosessualità repressa: gli uomini, infatti, stanno bene solo con gli uomini; l'amico di Nicola si sposa la sorella per restargli vicino, e lo dice pure ridendo; Nicola intreccia una storia d'amore proprio con la sfortunata amante del fratello Matteo (che dà loro la benedizione post mortem, in una scena che più che surreale definiremmo grottesca).
Ma non è forse proprio questa la faccia d'ombra di ogni saga familiare?

Per la rubrica Cinema - Numero 25 ottobre 2003