RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Arte

Veduta di Velletri

Agli inizi dell’Ottocento per andare da Roma a Velletri – 27 miglia di strada “non sempre selciata” – occorrevano sei ore di viaggio, con quattro poste di cavalli e mancia obbligatoria per i postiglioni.
Il viaggio, poi, da Velletri a Terracina, ricorda il “geometra” Tito Berti, avveniva in «una incomoda diligenza» perché «la vaporiera non si azzarda ancora di attraversare quelle lande malsane, il peggior viaggio a cui possa essere condannato un uomo. Anche il terrazzano che è costretto a farlo sovente per interessi e per commercio, vi si risolve a malincuore e il più tardi possibile. Non è certamente da porre nel novero delle delizie umane il trovarsi obbligati a passare otto lunghe ore stipati dentro una carrozza, soffocando d’estate a cagione del caldo e dell’afa, punzecchiati da insetti avidi e maligni; l’inverno stretti nel pastrano e col bavero chiuso fin sopra la bocca, onde impedire che quell’aria umida, fredda, malsana, penetri nelle ossa e geli il sangue».
Bene ha fatto, pertanto, Charles Poingdestre (1825-1905) da buon pittore all’“aria aperta”, ad arrivare in vista della città di Velletri e dello “spettacolo raggiante” dell’Agro pontino con una escursione a piedi attraverso l’Artemisio.
«Arrivammo dall’altra parte della montagna e d’incanto ebbi l’impressione di chi ha gli occhi liberati all’improvviso da una benda ed è sorpreso da una vista magnifica», scriveva Ferdinand Gregorovius spinto a visitare quei luoghi dalle narrazioni di altri viaggiatori che vi si erano recati prima di lui; «la cavalcata sul crinale dei Monti Volscini e la vista dalla loro estrema altura sulla palude e sul mare erano le cose più belle che un viandante potesse godere in lungo e in largo».
In questa visione a volo d’uccello, il Poingdestre, gettata alle ortiche la “toga” di presidente dell’Accademia Britannica a Roma, fissato il cavalletto con accanto lo zaino da escursionista sulle ultime pendici del monte Artemisio, al secco rumore dell’accetta con cui un boscaiolo recide quell’avara vegetazione che una donna lega in fascine, ritrae la città di Velletri stagliata sullo sfondo dei violacei Lepini, quasi sentinella d’antan delle Paludi pontine che svaporano nell’infinito del cielo.
Era l’anno 1861.
Per la rubrica Arte - Numero 60 marzo 2007