RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Musei

Nemi dei misteri

C’e un’innegabile aurea di mistero che circonda Nemi, celebre per il suo santuario e i riti cruenti che vi si celebravano.
Il riferimento, è chiaro, è al famoso Lucus di Diana nel bosco di Ariccia, un santuario che la tradizione attribuisce all’inizio del V secolo a.C., ma che il trascorrere dei secoli, le intemperie, nonché gli scavi di rapina dei secoli scorsi hanno quasi completamente obliterato.
La divinità nemorense per eccellenza è Diana, garante del rigoglio della natura, del singolo individuo e della comunità; dea lucifera e ctonia ad un tempo. La sua complessa identità si rifletteva nella statua di culto di Diana, che doveva avere un aspetto tricorpore, come si può dedurre dall’immagine rappresentata su una moneta repubblicana e da una testa in bronzo rinvenuta a Vallericcia e conservata nella Gliptoteca di Copenhagen, di cui una riproduzione è esposta nel Museo delle Navi: l’originale è databile agli inizi del V secolo a. C.
Secondo una leggenda epicoria sarebbe stato Oreste, figlio di Agamennone, a instaurare a Nemi il culto della dea. Dopo il matricidio l’eroe sarebbe stato colto da follia per liberarsi dalla quale, stando al responso dell’oracolo delfico, avrebbe dovuto recuperare assieme alla statua della Tauropolos (la Diana orientale che esigeva il sacrificio umano) la sorella Ifigenia, già miracolosamente scampata al sacrificio destinato a garantire ai Greci la buona navigazione di ritorno da Troia.
Nel santuario Diana aveva due divinità paredre: Egeria, la ninfa del re Numa, e Virbio, eroe-dio latino, figlio e alter ego del greco Ippolito, ucciso dai cavalli imbizzarriti (da qui il divieto per questi animali di accedere al santuario nemorense). Ippolito-Virbio rappresentava per gli antichi il “passaggio”, il suo culto aveva una componente misterica: una nuova vita prendeva avvio da una morte iniziatica e l’uomo doppio (vir-bis) diventava garante dell’alternarsi ciclico della vita. Il duello iniziatico, in cui l’anziano soccombeva ad un avversario più giovane e forte, evocava la successione rituale del rex nemorensis, sacerdote di Diana. L’aspirante al sacerdozio, dopo aver staccato un ramo da un albero particolare del sacro nemus aricinum, doveva uccidere in duello il rex in carica. Il rituale, oggi considerato un fossile di antiche leggi di successione regale, fu precocemente soppiantato da rappresentazioni rituali.
Con queste premesse non potrà sfuggire al visitatore attento il valore storico-antiquario di un’erma bifronte rappresentante Ippolito-Virbio, scoperta nell’agosto del 1998 lungo l’Appia, nel nemus aricinum e oggi conservata nel Museo delle Navi. L’interesse è determinato dal fatto che nel territorio dell’antica Aricia (comprendente in origine anche il lago di Nemi) sono venute alla luce, a partire dal XVIII secolo, altre dodici “erme bifronti”, con due teste contrapposte, una imberbe giovanile e una barbata di anziano, di cui cinque in bronzo pertinenti alla ringhiera della seconda nave imperiale rinvenuta nel lago antistante.
Connessa invece alle rappresentazioni sceniche della morte rituale del rex, così come alle altre cerimonie del Lucus, è l’offerta alla dea di una statuetta da parte del collegio di tibicines e fidicines (suonatori di flauto e cetra), incisa su un modesto blocco di peperino sempre conservato nel Museo. Stando ad attente indagini comparative con il vicino santuario di Preneste, questa modesta iscrizione costituirebbe il dono a Diana di una classe di operatori del santuario in occasione della realizzazione del nuovo luogo sacro del 100 a.C.
Un altro documento epigrafico, questa volta del I secolo a.C., cattura invece la curiosità del visitatore per la raffinatezza di realizzazione del supporto e la lontananza geografica dei dedicanti dal contesto nemorense: si tratta di una elegante iscrizione bilingue (testo greco e latino) con cui le due popolazioni orientali dei Mysei Abbaitae e degli Epictetes (stanziati nella zona dell’odierna Turchia nordorientale) onoravano con una statua su colonna Caius Salluvius Naso, luogotenente del console L. Licinio Lucullo, loro difensore durante la terza campagna romana contro Mitridate re del Ponto. La dedica nel santuario trova giustificazione nei tratti orientali che da sempre connotarono la Diana nemorense permettendone l’identificazione con quell’Artemide Persiana (Anahita) che avrebbe più volte favorito le operazioni militari contro il nemico. Molto, inoltre, dovrebbe aver pesato l’appartenenza di Lucullo all’élite latina, forse aricina, che a Nemi aveva uno dei suoi più importanti santuari.
Ma ancor più affascinante risulta la storia del santuario durante l’età giulio-claudia e di Caligola (37-41 d.C.) in particolare. Qust’ultimo riportò in auge il rituale cruento dell’uccisione del “re del bosco” - pratica che ben si confaceva al suo ideale di monarca orientale con diritto di vita e di morte sui sudditi - e favorì con ogni mezzo l’affermarsi della religione isiaca in tutto il suo impero. La dea nemorense venne così, con rapido processo sincretico, identificata con la dea egiziana della fecondità della terra e dell’umana comunità, la garante della salvezza nei perigli e del buon viaggio per nave, quell’Iside-Luna con cui Caligola si vantava di celebrare lo hieros gamos (nozze sacre). Le stesse navi palazzo che nello specchio lacustre furono costruite sotto il regno di Caligola sono da ritenersi intimamente connesse con la cerimonia del Navigium Isidis, festa celebrata il 5 marzo in occasione della ripresa della navigazione dopo la parentesi invernale.
Nel IV secolo la vita del santuario nemorense e il suo culto venivano spazzati via dall’affermarsi di una nuova religione: il Cristianesimo.
Per la rubrica Musei - Numero 61 aprile 2007
Maria Barbara Savo |
Per la rubrica Musei - Numero 61 aprile 2007