RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Primo piano

Natura, benignissima madre e matrigna

Popoli e ambiente: dall’armonia originaria al caos moderno

Il maremoto del 26 dicembre 2004 ci ha portato improvvisamente a ricordare la potenza della Natura, e a riflettere, forse, sulla inequivocabile fragilità umana; sulla possibilità che le forze in grado di sprigionarsi dalla natura comportino una tale distruttività da far crollare ogni nostra certezza.
In un attimo, da "benignissima madre" che genera e nutre le sue creature, la natura è diventata matrigna, ostile ai suoi stessi figli. Di nuovo, come agli albori dell'umanità, ci ha terrorizzato, mostrando il suo lato oscuro, la sua doppiezza.
Il rapporto Uomo-Natura è la relazione prima di tutti i popoli e di tutte le culture, la base di ogni cosmogonia e di ogni mitologia. Il senso di stupore dell' uomo di fronte alla natura ha fatto nascere persino la filosofia, madre di tutte le scienze.
Una relazione ambivalente, tuttavia, che nelle società arcaiche si era tradotta in un rapporto duplice di gratitudine e timore. I culti dedicati alla natura esprimevano sentimenti di riconoscenza, ma assolvevano anche a una funzione imbonitrice e propiziatoria: sopraffatto dalla sua potenza, all' uomo non restò che riconoscerne e venerarne la sovranità.
Per millenni, e in tutte le società, l'uomo ha assunto la sua condizione di subalternità alle leggi e ai ritmi della natura; di più, il suo stesso stato di natura; e ogni suo intervento, inevitabile per il semplice fatto di avere le mani, come sosteneva Anassagora, è stato realizzato pensando alla natura come spazio di vita e a se stesso come un momento di essa, in un rapporto di mutuo adattamento, equilibrato e spesso addirittura armonico.
Poi, qualcosa è cambiato, in maniera irreversibile.
Non si vuole qui riproporre il mito del "buon selvaggio" (non farebbe male parlarne!), ma è innegabile che le implicazioni negative del rapporto uomo-natura, il dualismo risolto nella volontà dell' uno di piegare a sé l' altra affermando il proprio primato, appartenga alla tradizione occidentale.
Dal privilegio concesso dal Dio ebraico ad Adamo, di "nominare tutti gli animali e tutte le piante" e di esserne "dominatore", all’"arroganza cristiana" che ha posto la natura al servizio dell'uomo, alla cultura illuministica e positivista fino ad arrivare al XX e XXI secolo, l'antropocentrismo dell’occidente è attraversato da un'ambizione di onnipotenza che rasenta il delirio.
Non c'è relazione tra la catastrofe del 26 dicembre e l'intervento umano sulla natura: l'energia scatenata dal maremoto è stata di mille volte superiore a quella dei 30 megatoni della più potente bomba termonucleare mai esplosa.
Ma forse c'è relazione tra le modificazioni ambientali incontrollate operate dall'uomo tecnologico e gli effetti devastanti che da queste potrebbero derivare. L'effetto serra e lo scioglimento dei ghiacci non sono entità astratte. La Conferenza Internazionale sul clima tenutasi a Buenos Aires pochi giorni prima del maremoto ha lanciato un nuovo grido di allarme per il riscaldamento globale del pianeta. Lo tsunami che ha colpito il continente indiano è stato provocato da un fenomeno naturale, ma secondo gli esperti costituisce un esempio fisico di ciò che in un futuro, non troppo lontano, potrebbe accadere in molte parti del mondo per l'innalzamento del livello degli oceani dovuto ai cambiamenti climatici.
Il problema non è nuovo, ma oggi sembra imporci una consapevolezza che richiede più umiltà nel guardare al domani.
Forse dovremmo ripensare al nostro rapporto con la natura. Sapere, molto strumentalmente, che è il nostro spazio vitale e non "un bidone dell'immondizia". Che preservarla significa preservare noi stessi.
Pensare che forse, già nel 1853, aveva ragione il Capo Indiano Seattle nel sostenere che continuando a insudiciare il nostro letto, finiremo col morire soffocati dai nostri stessi escrementi.
O che il Dio biblico, giusto per rimanere nella nostra tradizione e secondo l'esegesi contemporanea, fece l'uomo non dominatore, ma “custode”, per sé e i suoi figli, della natura.
La custodia comporta responsabilità, è vero. Ma perché non provare a conferire a quest’ultima un carattere estetico?

Per la rubrica Primo piano - Numero 39 febbraio 2005