RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Primo piano

L’irriducibile complessità del mondo contemporaneo

E’ giusto intervenire artificialmente sulla fecondazione? SI – NO
E’ giusto che una coppia sterile rinunci al desiderio di procreare un figlio? SI – NO
E’ giusto l’espianto-trapianto di organi? SI – NO
E’ giusto morire per il malfunzionamento di un organo che potrebbe essere sostituito? SI – NO
E’ giusto ricorrere alla tecnologia per allungare la vita? SI – NO
E’ giusto “staccare la spina”? SI – NO

Potremmo continuare all’infinito con domande di questo genere. Sono le domande della nostra epoca, alle quali ogni giorno in vario modo siamo chiamati a rispondere.
Tuttavia, le risposte non sono facili o scontate.
Ogni domanda suscita dubbi, perplessità; mette in discussione convinzioni, credenze, certezze; costringe a prendere posizione; mette di fronte a realtà ed evidenze che fino a ieri nemmeno immaginavamo.
Per il 12 e 13 giugno prossimo dovremo pronunciarci ( o non ) su 4 quesiti referendari riguardanti la legge 40 del 2004 sulla procreazione assistita. Una legge controversa, intorno alla quale si sono sviluppate polemiche e discussioni di carattere scientifico, etico e religioso, e che oggi si chiede di abrogare in 4 punti.
Ma possono, un semplice si o no, quasi dovessimo affrontare un test d’ammissione, liquidare le problematiche, sempre più numerose e ingarbugliate, legate ai grandi temi della vita e della morte, della salute e della malattia?
Che vinca una sillaba o l’altra, che ne sarà di tutte quelle altre domande che ogni conquista della scienza e della tecnica oggi ci pone?
Il problema è più ampio. Riguarda il rapporto tra scienza ed etica, e non sarà una legge nazionale a risolverlo, perché ogni questione che nasce da questo rapporto riguarda l’umanità intera.
E’ l’ampliarsi stesso della ricerca scientifica, soprattutto nel campo biologico e medico, la sempre più incisiva possibilità da parte dell’Uomo di intervenire su se stesso e sui processi naturali a destare dubbi e perplessità. e non saranno certo le accuse di oscurantismo ad impedire che l’uomo seguiti a riflettere sulla scienza e la tecnologia, a porsi problemi sulle loro finalità.
Fino a 60-70 anni fa non avevamo dubbi sulla purezza e la neutralità della scienza. Per sua stessa natura, la scienza deve semplicemente sapere, conoscere. La conoscenza è un valore in sé, non ha bisogno di finalità. Tuttavia, le applicazioni legate alle scoperte della fisica, della biologia o della chimica ci hanno aiutato nel tempo a vivere meglio e di più.
E gli effetti collaterali? Relativamente modesti, ammortizzati quasi spontaneamente e in tempi brevi.
Ma nel secolo scorso è stata realizzata la bomba atomica, ci sono stati gli esperimenti sui prigionieri, in Giappone e nella Germania di Hitler. In nome di interessi politici, militari e scientifici, l’integrità psico-fisica dell’essere umano è stata reiteratamente sacrificata.
Da allora, abbiamo cominciato a porci domande sull’autonomia della ricerca scientifica, sull’uso delle scoperte che ne derivano, sul loro valore commerciale, sui confini sempre più labili tra scienza e tecnologia, e sugli effetti negativi di quest’ultima, rapidi, irreversibili e cumulativi.
In definitiva, sul futuro e il destino dell’umanità e del mondo vivente.
La scienza dovrebbe fermarsi? Domanda patetica che non merita risposta.
E la tecnologia, la cui logica non è la verità ma il possibile, la potenza, anche a discapito dell’uomo? Che moltiplica vorticosamente se stessa, rischiando di diventare un fine?
Trentacinque anni fa l’oncologo statunitense Van R. Potter nel suo libro Bioetica. Ponte verso il futuro, sostenne che per la sopravvivenza dell’uomo e una migliore qualità della vita, «l’umanità ha bisogno urgentemente di una nuova saggezza che fornisca “la conoscenza di come utilizzare la conoscenza”»; una conoscenza affettiva, una ragionevolezza che è una ragione dell’uomo per l’uomo, per il suo mondo e per il rispetto della vita.
Per la rubrica Primo piano - Numero 43 giugno 2005