RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Cinema

Old boy

Tratto da un manga giapponese, e vincitore del Gran premio della giuria alla 57ª edizione del Festival di Cannes, il film parla della improvvisa liberazione di un uomo comune - Dae-su - da un sequestro durato 15 anni che lo ha tenuto rinchiuso sempre nella stessa stanza, sottoposto a loschi esperimenti di ipnosi, tanto che noi stessi stentiamo, all’inizio, a capire se la sua stessa liberazione sia reale o frutto di un’ennesima allucinazione. Il dramma di Dae-su - e il nostro rovello come spettatori - consiste proprio in questo non-sapere e non-capire, fino alle ultime scene, la maggior parte degli elementi della trama, che si rivelano a barlumi qua e là in modo sempre più confuso e apparentemente scollegato nel corso del film. Innanzitutto, Dae-su non sa chi e perché lo ha imprigionato; non sa neppure dove si trovasse esattamente mentre era rinchiuso. Così, neppure conosce il motivo della propria fulminea liberazione. E il film è tutto nella sua spasmodica ricerca - carica di sentimenti di vendetta - del “chi” e del “perché” abbia voluto sottrargli una così lunga fetta di esistenza rimanendo nell’ombra. E’ terribile questo suo lungo dover ignorare, soprattutto per la violenza e la oscena crudezza delle rivelazioni finali, che riusciranno quasi a distruggergli quel barlume di vita nel frattempo faticosamente ritrovato, anche grazie ad un nuovo dolcissimo amore. Ma quando alla fine ogni tassello verrà messo, senza forzature di trama, al proprio posto, allora si rivelerà tutto il disperato messaggio del film, esempio raro di come azione e violenza, apparentemente fine a se stesse, possano divenire qualcosa di notevolmente più complesso e universale. Buona sintesi di ritmo drammatico e riflessività zen, un po’ rilettura del tragico universale mito di Edipo, un po’ manga ma lontano dalle fantasiose evanescenze alla Kill Bill, tecnicamente il film brilla per una recitazione intensa e piena di forza nostalgica, le musiche evocative e drammatiche, un montaggio perfetto (eccezionale nelle primissime battute), un’altrettanto brillante fotografia e una regia che, con il rigore di una descrizione esasperata e insieme lucida e lineare, riesce ad imprimere alla storia - che pure muove da atmosfere a dir poco asfissianti - un respiro notevolmente ampio. Insomma un film ben fatto, non facile, decisamente originale, psicologicamente sconvolgente (si resta per qualche minuto senza parole, alla fine…), che non lascia indifferenti e che merita di essere visto - e magari rivisto. Ci rimane nella testa la cruda e tagliente massima - tipicamente orientale - ripetuta più volte dal protagonista a se stesso, nelle situazioni più disperate: "Se ridi, tutto il mondo riderà con te. Se piangi, piangerai da solo".

“Old boy”, regia e sceneggiatura di Chan-wook Park Corea del Sud, 2004.

Per la rubrica Cinema - Numero 43 giugno 2005