Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Cultura & Turismo

Appia

L'antica via Appia, la strada romana che collegava Roma a Brindisi, porto dell'Italia antica, da cui partivano le rotte commerciali per la Grecia e l'Oriente, rivive nel libro di Paolo Rumiz in modo nuovo, inedito, sorprendente tra storia antica e moderna, in un percorso fatto di nostalgie, scoperte, sorprendenti incontri. L'Appia, considerata dai Romani la Regina Viarum, è universalmente ritenuta una delle più grandi opere di ingegneria del mondo antico, sia per l'epoca precoce in cui fu realizzata (fine IV - III sec. a.C.), sia per l'enorme impatto economico, militare e culturale che essa ha avuto sulla società romana.
I lavori per la costruzione iniziarono nel 312 a.C. per volere del censore Appio Claudio Cieco che fece ristrutturare ed ampliare una strada preesistente che collegava Roma ai Colli Albani, prolungandola fino a Capua.
Lo scrittore e giornalista Paolo Rumiz, è garanzia di una buona lettura. Inviato speciale del Piccolo di Trieste e poi editorialista di La Repubblica, ha seguito dal 1986 gli eventi dell'area balcanica e danubiana; durante la dissoluzione della Jugoslavia ha seguito in prima linea il conflitto in Croazia e in Bosnia-Erzegovina. Nel novembre 2001 è stato inviato ad Islamabad e successivamente a Kabul, per documentare l'attacco statunitense all'Afghanistan. Molti e famosi i suoi reportage che narrano i viaggi compiuti, per lavoro o per diletto, attraverso l'Italia e le capitali d'Europa.
L'ultimo, quello che ci interessa, è del 2015 durante il quale ha percorso a piedi, con un piccolo gruppo di collaboratori, la prima grande via europea, l'Appia, riconsegnandoci l'itinerario perduto "più per dovere civile che per letteratura", scrive. Lo ha fatto spesso riscoprendo dal silenzio i segni cancellati dalla Storia, riportando in vita le voci rimaste a lungo inascoltate e destando la fantasia di quanti "stupiti" ha incontrato lungo il viaggio. Ora ci invita a seguirlo con l'immaginazione e con la lettura. Allora ritroviamo Orazio, Spartaco e Federico II, riscopriamo le tracce arabe e normanne sul nostro territorio, insieme ad altri memorabili personaggi, costeggiando agrumeti e mandorleti e il paesaggio incantato del Mediterraneo italiano. Le tradizioni popolari ancora in vita, inaspettatamente resistite alla modernizzazione: le donne vestite di nero, i muretti a secco, la musicalità di una lingua che apre le porte all'Oriente.

A questa risorta meraviglia di un'Italia autentica e segreta, Rumiz affianca il cumulo di macerie e di scempi che l'Appia si porta addosso da sempre. Partiti a cuor leggero non è possibile ora ignorare le storture. Non solo ammirare ma anche riflettere: svincoli e incroci da aggirare, guardrail, sentieri invasi da canneti e sterpaglia, zone degradate dalle cementificazioni, dall'edilizia abusiva, montagne intere svendute alle multinazionali dell'acqua e del vento, povertà dei paesi e dei suoi abitanti. Anche la verità più scottante dei luoghi va affrontata: "È nei villaggi più remoti," ha scritto il "New York Times" a proposito del romanzo di Paolo Rumiz, "tra i laghi e i boschi, in mezzo alla gente comune, che la vera vita delle nazioni rivela la sua trama di colori."

A questo diario di viaggio sono associate le mappe disegnate da Riccardo Carnovalini, che ha ricostruito e preparato il percorso sulle carte, con foto aeree e dati satellitari e ha descritto dunque l'itinerario per immagini del libro: anche questo un contributo prezioso e uno strumento utilissimo - considerata l'assenza di segnaletica - per chi volesse ricalcare le orme di questa avventurosa esplorazione. Proprio per i camminatori Carnovalini ha inserito in coda al testo le schede descrittive delle 29 tappe percorse e più volte riviste ed approfondite prima della stampa.

In compagnia del regista Alessandro Scillitani e del giornalista Marco Ciriello, Paolo Rumiz ha percorso un tragitto di oltre 600 km, durante i quali ha raccolto racconti e commenti spesso amari vista l'incuria o la mancanza di tracce sicure della celebre via romana, "la grande madre dimenticata delle strade europee". Lungo il viaggio si sono uniti numerosi amici, quali Vinicio Capossela o Raffaele Nigro, ma anche semplici custodi di monumenti, bariste o maestri di ballo. Ognuno aveva un aneddoto o una storia per riportare in vita, la memoria della prima "autostrada" costruita in Italia.

Queste le parole di Paolo Rumiz, nell'incipit ad Appia: "L'abbiamo ricoperta di tangenziali, parcheggi, supermercati, campi da arare, cave, acciaierie, sbarrata con cancelli, camuffata con cento altri nomi, presa talvolta a picconate peggio dell'Isis. Abbiamo lasciato che quattro quinti dei monumenti del tratto romano finissero in mano ai privati".
Un'avventura insperata per soffermarsi, in tempi nei quali s'insegue la velocità. Soltanto chi ha avuto la sorte di perlustrarla, a piedi, un tratto dopo l'altro, scavalcando piccoli corsi d'acqua, salendo i colli e poi ridiscendendoli, può, credo, capire appieno l'impresa di questi esploratori moderni.


L'Appia Antica, così come viene raccontata da Rumiz, viene presa in consegna dai Castelli Romani a Santa Maria delle Mole, per giungere ad Albano Laziale antica città già sede della Seconda Legione Partica. Questo è il capolinea della prima tappa di 29 che completano l'intero percorso. Prosegue poi per campi verso Genzano e attraversando gli ultimi comuni castellani si avvia verso Cisterna, la pianura pontina e Terracina.

 


 

Paolo Rumiz, Appia, Milano, Feltrinelli, 2016

 

 

Per la rubrica Cultura & Turismo - Numero 132 novembre 2016