Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Biblioteca di Trimalcione

Crogiolo di esistenze e sentimenti di un mondo perduto

Otel Bruni

Il luogo delle favole e delle storie fantastiche, il rifugio dei poveri, dei vagabondi e dei derelitti…La casa che da tempi immemorabili, era sempre aperta per chi soffriva la fame, il freddo e la solitudine

"La stalla era un edificio imponente, per metà adibito a fienile d'inverno e a cascina per il grano d'estate, dopo la mietitura. Nell'altra metà stavano le vacche con i vitelli, quattro paia di buoi per arare e un toro per la monta. Era lì che ci si trovava d'inverno a veglia per non andare a letto con le galline e per tirare tardi con ospiti sia occasionali che abituali, senza dover bruciare legna nel camino perché il calore delle bestie era più che sufficiente. Quella sarebbe stata una lunga notte perché il giorno dopo nessuno, tranne il bovaro, avrebbe dovuto alzarsi presto, una notte da passare nella stalla ad ascoltare storie [...] davanti ad un piatto di minestra fumante ed un fiaschetto di vino"

L'epopea di una famiglia della provincia modenese rivive nelle pagine dense e appassionate dell'opera narrativa di Valerio Massimo Manfredi, "Otel Bruni" il cui nucleo essenziale, tratto da un preesistente omonimo racconto inserito nella raccolta "Storie d'inverno", è stato in seguito sviluppato ed ampliato dall'autore in forma di romanzo. Nella trasposizione del componimento narrativo, la parola "Hotel" contenuta nell'intestazione originaria, giunge a noi in realtà privata dell'acca iniziale, manifestazione tangibile ed inequivocabile della volontà dello scrittore di riscoprire le proprie radici non soltanto attraverso il paziente recupero di memorie e testimonianze di famiglia ma anche attraverso la riscoperta del lessico utilizzato nel mondo contadino.

Tema principale dell'esposizione le vicende biografiche della famiglia Bruni, in particolare riferibili alla prosapia materna dell'autore, un tipico microcosmo familiare della provincia italiana, in cui si intersecano e da cui si sviluppano trame svariate e molteplici, legate alle vicissitudini storico-politiche dell'Italia. Da più di cento anni infatti i Bruni, rappresentati nella fattispecie da Callisto e Clarice con i loro nove figli - sette maschi e due femmine - lavorano le terre della tenuta del notaio Barzini, un ricco possidente residente a Bologna. Il podere, "di più di cento tornature buone", comprendeva una casa colonica, una stalla ed un fienile. Nell'immensa costruzione, "grande come una chiesa", destinata al ricovero degli animali d'inverno e a magazzino per il grano d'estate, gli uomini erano soliti riunirsi la sera per narrare e soprattutto ascoltare storie dai contorni spesso mitici e fantastici, riferite dai tanti viandanti e derelitti generosamente accolti nel granaio e riscaldati dal tepore dei buoi e dal buon cibo. Un caldo e confortante rifugio che da tempo immemorabile ospitava quanti si trovavano in difficoltà durante il loro cammino. "Era soprattutto d'inverno che l'Otel Bruni registrava il tutto esaurito". La Clerice, accoglieva tutti con un fumante piatto di minestra ed un fiaschetto di vino "convinta che in ciascuno di essi potesse nascondersi Nostro Signore in persona che si aggirava nella notte per vedere chi avesse il cuore duro e chi la carità per il prossimo". Ed è proprio in una gelida notte d'inverno, quella del 12 gennaio del 1914, la più fredda a memoria d'uomo, che un compaesano irrompe nella stalla dei Bruni, riferendo di aver appreso da un misterioso avventore dell'osteria della Bassa, l'avvistamento a Prà dei Monti - una sperduta località tra le colline - della "capra d'oro", la cui apparizione si riteneva foriera di immani sciagure. La leggenda infatti, collegava all'inquietante manifestazione il verificarsi di epidemie, guerre e accidenti d'ogni natura. Di lì a poco, con l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando e la dichiarazione di guerra avanzata dall'Austria alla Serbia, l'allarmante prenunzio troverà compimento con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. I sette figli maschi della famiglia Bruni vengono dunque chiamati alle armi andando a ingrossare le fila di una gigantesca macchina da guerra che solo in Europa vede il coinvolgimento di ben sessanta milioni di uomini. E sebbene Callisto si strugga al solo pensiero che qualcuno dei suoi figli possa incontrare la morte sul campo di battaglia, contro ogni aspettativa o calcolo statistico, o forse grazie alle preghiere e al voto di Clerice, tutti e sette i ragazzi riescono a tornare a casa incolumi. La vita, interrotta dai tragici eventi connessi alla "Grande Guerra", ai quali Manfredi dedica alcuni capitoli memorabili del romanzo, riprende a scorrere segnata come sempre dalle fatiche della campagna e dalla ferrea volontà di riscatto che permea i protagonisti della narrazione: "La gente voleva dimenticare...Gli uomini desideravano tornare alle vecchie occupazioni, ai mestieri che avevano lasciato partendo...a una vita illuminata dal sole e dalla luna, sostenuta dal lavoro e dalla normale, dura fatica quotidiana". Nella cascina dei Bruni, immersa nella pianura emiliana, fervono dunque i preparativi in occasione del matrimonio di Gaetano - il primo a prendere moglie in famiglia - festeggiato con un pranzo di nozze costituito da vivande insolite e gustose, annaffiate da abbondanti libagioni; un banchetto sontuoso divenuto quasi leggendario tanto che, gli abitanti dei paesi vicini, avevano coniato per l'occasione una beffarda tiritera, ispirata per l'appunto dalla straordinaria varietà ed abbondanza dei cibi cucinati.

Sulla tavola, approntata in occasione dello sposalizio, alcuni classici della cucina emiliana, caratterizzata da piatti legati alla terra, in contrapposizione alla gastronomia romagnola legata al mare e dunque connotata dall'utilizzo del pesce: in primis i tortellini, espressione del territorio afferente a Bologna e Modena, dal saporito ripieno di carne, accompagnati da galletti, fagiani e faraone arrostiti, proseguendo con i dolci, come la torta secca di mandorle e cioccolato, il croccante, gli zuccherini a forma di anelli da sposi e da ultimo la zuppa inglese, dolce al cucchiaio confezionato "con strati di biscotti savoiardi inzuppati nell'alchermes, alternati a strati di crema pasticcera e crema di cioccolato".

Un gioioso e succulento appuntamento che vede l'intero nucleo familiare dei Bruni nuovamente riunito. Ma nuove nubi si affacciano all'orizzonte: l'affermarsi del movimento politico fascista reca già in sé i germi della decadenza di un'epoca e del tramonto di un mondo tenacemente legato al riscatto degli "umili". L'Otel Bruni, "La casa che da tempi immemorabili era sempre aperta per chi soffriva la fame, il freddo e la solitudine", viene data alle fiamme, durante un atto di rappresaglia, da un gruppo di squadristi. E nel feroce divampare dell'incendio, si consuma la fine di un'era, "un'epoca povera ma forse più felice di quella presente, dal momento che il paese, la gente e forse il mondo intero non sarebbero stati più gli stessi". Un racconto ammaliante che in un susseguirsi ininterrotto di personaggi ed avvenimenti conduce il lettore attraverso alcuni momenti fondamentali della nostra storia - dal 1914 al 1949 - un trentennio turbolento attraversato da due guerre mondiali e dalla guerra civile fino all'epilogo della nuova Repubblica. Attraverso gli occhi di uno degli scrittori protagonisti della produzione letteraria degli ultimi decenni, giunge a noi il poetico ritratto di un mondo scomparso, fatto di valori come la solidarietà, l'onestà, la dignità, il coraggio, valori che non potevano essere barattati nemmeno con un'eredità imprevista da chi, come i Bruni, era abituato a procurarsi il necessario con estenuanti fatiche. Un mondo rurale arcaico, a tratti magico, che lascia dietro di sé gli echi di una parabola senza tempo.

[...] Le riserve di cibo erano terminate; restava soltanto qualche bottiglia di grappa, ma Floti non era abituato a bere a stomaco vuoto e si sarebbe venduto l'anima per una bella crescente appena fritta in padella e farcita con qualche fetta di prosciutto. Ricordava come la sottile rima di grasso che contornava la fetta corallo si scioglieva a contatto con la superficie fumante della crescente, trasmettendole l'anima sublimata del suino. Sogni e ricordi dei rustici banchetti consumati in famiglia. Cibi da re sulla modesta mensa contadina, sulla tovaglia di canapa che profumava di spigo.[...]

 

(I brani riportati in corsivo sono tratti da Valerio Massimo Manfredi, Otel Bruni, Milano, Mondadori, 2011)

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