Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Natale ai Castelli

Strenuamente… strenne!

"La vera felicità del dono è tutta nell'immaginazione della felicità del destinatario: e ciò significa scegliere, impiegare tempo, uscire dai propri binari, pensare l'altro come un soggetto: il contrario della smemoratezza.
(Theodor Adorno Minima moralia, 1951)"

Eccola alle porte! Dapprima (siamo agli inizi di dicembre) si presenta con una certa vaghezza, è discreta, fumosa e incerta come un'idea lontana che sfiora appena. Ma col passare dei giorni il suo stato cambia, si definisce. E la sua presenza si fa urgente, impellente, fino ad imporsi ineluttabilmente. Diventa una frenesia, quasi una mania, e ogni anno, ora pervasa solo dal piacere ora commista a un senso del dovere, in pochi giorni ci costringe a frequentare instancabilmente negozi o mercatini di ogni tipo. Eccoli là, in attesa d' esser portati via in fantasiose confezioni, giocattoli, libri, piante, gioie, borse o chissà cos'altro ancora, da regalare a figli, nipoti, fratelli, genitori, amanti, colleghi, amici. È talmente perentoria tale smania, da renderci talora solidali persino con chi non conosciamo, i meno fortunati, magari rifornendo le mense collettive di scorte alimentari, dolci, torroni e cioccolato.

È la brama dei regali natalizi, delle strenne, che in qualche modo o misura colpisce proprio tutti, senza distinzione di classe, età, sesso, provenienza culturale. Persino quelli che la sfuggono, la odiano, la negano o l'avversano, finiscono col compiacerla. La critica infatti è il suo lato oscuro. Ammettiamolo. Non si può fare a meno di assecondarla, e se invece qualcuno riesce a resisterle perché ideologicamente contrario a tutti i costi, poi se ne pentirà. Solitario nella sua scelta privativa, emarginato da se stesso, individualista senza scampo tra i tanti che gli auguri se li scambiano con i doni e magari ne propinano anche a lui (lei), finirà col dirsi sommessamente che in fondo un regalino, un pensierino o persino una sciocchezza a questo o quello, magari un nipotino, poteva pure farlo.
Già! Perché il Natale, nel nostro caso prevalentemente cristiano, e il desiderio di festeggiarlo con i doni rappresentano qualcosa che va al di là dei dettami consumistici, dei bisogni indotti. L'industria dei consumi non fa che sfruttare una interiorità ancestrale che aspetta solo l'occasione per rendersi manifesta. Il Natale infatti, semplicemente, è l'archetipo della nascita, è l'evento che celebra l'essere al mondo. Un evento che richiama un valore universale, forse il valore in assoluto, presente da sempre in ogni luogo e cultura. C'è forse qualcosa di più grande di una nascita, che è la vita stessa? Per questo forse siamo tanto propensi a lasciarci coinvolgere dai rituali che la rievocano. Come nel caso della ricorrenza della natività individuale, di un compleanno, il Natale è simbolo di rinnovamento, di rigenerazione, di nuova vita, cui tutti, consapevolmente o non, siamo chiamati a partecipare proprio attraverso un piccolo o grande pegno augurale.

In quest'ottica ci piace quindi pensare al Natale come a una sorta di compleanno collettivo, cosicché alla fine siamo tutti festeggiati, tutti protagonisti di una festa, di sentimenti di gioia e di affetto, di auguri propiziatori. E proprio perché ci investe tutti contemporaneamente, l'evento diventa occasione di vicinanza, di condivisione. Di più. Di speranza, direi. Perché quando si è insieme, quando la dimensione individuale si dilata in quella collettiva, la speranza e le aspettative assumono nuove forme che ce le mostrano come possibili, realizzabili. Quando si è insieme le energie si intensificano, i confini si espandono, le forze aumentano. È in questo senso quindi che vogliamo esaltare la forza insita nel dono natalizio e nell'occasione che lo fa emergere come simbolo di forza collettiva.
E qui arriviamo alla parte avverbiale del titolo. Strenuamente, ovvero con forza, vigore, coraggio. Nell'antica Roma quella forza collettiva si sprigionava e si assumeva, in vista del futuro, nelle festività che celebravano il ciclo annuale di morte e rigenerazione della natura, culminante nel solstizio d'inverno. Era allora che si donavano le strenne, che si onorava il Dies Natalis Solis Invicti, giorno che inaugurava un nuovo ciclo vitale per la natura e gli uomini. . All'inizio le strenne erano costituite da semplici ramoscelli, colti da una pianta che cresceva nel bosco situato lungo la Via Sacra. Elementi allo stato naturale, privi di valore economico dunque, e tuttavia simboli augurali, doni. Perché la pianta che li generava in verità era di una specie propizia, un arbor felix, e il bosco era sacro, dedicato a Strenua (o Strenna), divinità di origine sabina che rappresentava la forza e la salute. Fornite dalla dea stessa quindi, e regalate in quelle ricorrenze che investivano tutta la comunità, le strenne auguravano la rinascita, dispensavano forza, salute e prosperità. Strenne e forza erano dunque indissolubili. In seguito i ramoscelli furono sostituiti da fichi secchi, mele e miele, auguranti il nuovo anno all'insegna della dolcezza. Poi fu la volta di regali di vario genere, fino ad arrivare a quelli più preziosi come monete o piccoli oggetti d'argento e persino d'oro. Tuttavia, semplici o ricercate, le strenne divennero sinonimo di doni natalizi, doni che si scambiavano appunto nel tempo della (ri)nascita della natura e dell'invincibile sole. Tornando alla nostra dea della forza, ci piace segnalare che la Sabina Strenua fu venerata anche presso i Latini e i Romani, che tra i loro doni inserirono pupazzetti di marzapane offerti ai bambini. Di lei si trova traccia anche da noi, nei nostri dolci più noti. La pupazza al miele con i tre seni (addirittura!) per esempio, tipica di alcune cittadine dei Castelli Romani, secondo alcune tradizioni sembra risalga proprio a Strenna, simbolo di forza e salute ma anche di nutrimento e fertilità. L'antica divinità infatti, in quanto dea del bosco e quindi della notte e del mistero femminile, recava in sé tutte le peculiarità proprie della Dea Madre.

Col tempo il culto di Strenua decadde, la dea retrocesse allo stato di ninfa e anche il paganesimo finì. Secondo altre interpretazioni invece, come spesso accade quando abbiamo a che fare con eventi e personaggi mitologici, la venerazione di Strenna sopravvisse al Cristianesimo persistendo nelle campagne fino al 1500, quando per eliminare del tutto i residui della religione attinente al pagus le si attribuirono quelle caratteristiche negative che le valsero la trasformazione da Strenna a Strega (con tutte le conseguenze del caso). Tuttavia, l'avvento e l'affermazione della Cristianità non ha cancellato la tradizione legata a quel tempo mitico che non smette di stupirci, pronto a offrirci a ogni occasione nuove e antiche suggestioni. Sebbene investita di una religiosità e di contenuti nuovi, anche la Natività di Cristo celebra la rinascita, suscita speranza, ispira il senso del dono. Né ha soppresso il significato augurale delle strenne. Forse allora non è casuale che il periodo dal sei dicembre al sei di gennaio, quindi non solo il giorno di Natale, persista come quel tempo nativo caratterizzato dalla presenza di regali, in questo caso destinati esclusivamente alle nascite più recenti, ai bambini. Da quelli portati da San Nicola (Santa Claus) a quelli dell'Epifania, quando i devoti rievocano il giorno in cui i Re Magi donarono oro, incenso e mirra al neonato Gesù.

Ormai legittimati dalla mitologia, la psicanalisi e la religione, possiamo allora dar libero sfogo all'acquisto febbrile di ogni oggetto, grande o minuscolo, magari comprato in varie copie così si fa prima, cogliendo al volo questa o quell'offerta, preferendo articoli economici seppure orribili oppure optando per quelli pericolosamente costosi, ma almeno così si fa bella figura? Riteniamo di no. Quale accanita sostenitrice dei regali natalizi, o forse proprio per questo, penso che la strenna non possa ridursi né a oggetto di consumo né a forma di esibizione sociale ma meriti invece un impegno, una volontà, da parte di chi vi ricorre, perché possa conservare il suo primordiale significato di augurio di forza e rinascita per chi lo riceve, di condivisione di gioia e speranza e, perché no, anche di benevolenza. Prezioso o modesto che sia, ritengo debba e possa mantenere tali caratteristiche. Strenuamente.

Per la rubrica Natale ai Castelli - Numero 123 dicembre 2014