Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Biblioteca di Trimalcione

Bagliori di vita e di morte tra i vicoli di una Napoli travolta da un’incipiente primavera…

Ad una settimana dalla Pasqua, principale solennità della religione cristiana, l'arrivo della primavera con il suo vento carico di nuovi profumi ed energie, scompiglia progetti ed esistenze, "rimescola il sangue in ogni vena, vecchia o giovane che sia, rimesta nella vita e nel ricordo della morte". Nel romanzo di Maurizio De Giovanni, ambientato nella stagione della rinascita e del cambiamento, l'effigie di una città viva, complessa e molteplice in cerca di un riscatto e di una "resurrezione" che tardano ad arrivare.

"La primavera aveva deciso di incontrare la Pasqua col suo vestito migliore. L'aria era frizzante come un vino novello e altrettanto ubriacante e traditrice, piena di profumi e di promesse che non aveva intenzione di mantenere ..."

 

Ad una settimana dalla Pasqua, principale solennità della religione cristiana, l'arrivo della primavera con il suo vento carico di nuovi profumi ed energie, scompiglia progetti ed esistenze, "rimescola il sangue in ogni vena, vecchia o giovane che sia, rimesta nella vita e nel ricordo della morte". Nel romanzo di Maurizio De Giovanni, ambientato nella stagione della rinascita e del cambiamento, l'effigie di una città viva, complessa e molteplice in cerca di un riscatto e di una "resurrezione" che tardano ad arrivare.
A calcare il palcoscenico, nella cornice di una caleidoscopica ed accattivante scenografia, è ancora una volta il commissario Ricciardi, protagonista di un ammaliante viaggio nella psiche umana e nell'anima di una città dai mille volti e dalle mille contraddizioni. Colori, voci, fragranze, impressioni, racchiusi in un racconto squisitamente icastico, intercalati da pagine assimilabili a composizioni liriche di straordinaria potenza poetica: basti ricordare gli straordinari soliloqui dedicati all'amore, alla notte o alla stessa primavera. Il nuovo caso investigativo alla base della narrazione, diviene dunque spunto per anatomizzare ciò che vive nel profondo della nostra essenza e che può essere palesato soltanto a coloro che possiedono la capacità di scrutare il mondo con curiosità e capacità di introspezione. Nel romanzo coesistono tutte le esperienze che il personaggio immaginario creato da De Giovanni, il commissario della Regia Questura di Napoli, ha vissuto sin dal suo esordio: le passioni e le emozioni di chi vive sul sottile confine che separa la luce dall'ombra, le atmosfere e le vicissitudini di una città immortalata negli anni Trenta del secolo scorso, il clima di violenza e soprusi instaurato dal regime fascista, e nella fattispecie, un'azione delittuosa sospesa come sempre, tra "la fame e l'amore". Sono queste infatti, secondo Ricciardi, le due passioni primarie che generano il crimine: "Esse si declinano, mescolandosi all'infinito, diventando l'una brama di potere, prevaricazione, invidia; e l'altra gelosia, solitudine, disperazione. E armano le mani, generando una confusa voglia di sangue e di giustizia che si spegne solo nella morte". Un intricato dedalo di emozioni che nel romanzo, in un crescendo impetuoso, esplode all'arrivo della prima settimana di primavera, una stagione che il commissario partenopeo definisce perniciosa, e per la quale nutre una malcelata diffidenza: infatti "dopo l'inverno dei silenzi, delle vie gelide battute dalla tramontana, dei geloni e della pioggia fredda, le passioni hanno accumulato tanta di quell'energia distruttiva che non aspettano altro per eruttare il loro disordine" Sarà forse per questo che il primo pomeriggio della nuova stagione porta con sé la vita e la morte. Lo sa bene il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, chiamato ad indagare sulla misteriosa morte di Cennamo Maria Rosaria, detta Vipera, la più celebre prostituta della città. Nell'esclusiva casa di tolleranza di Via Chiaia,"Il Paradiso", dove la giovane ragazza esercitava il mestiere, l'omicidio ha destato sconcerto e preoccupazione. Il giardino di delizie si è tramutato repentinamente in inferno, nell'abisso di perdizione in cui Ricciardi deve necessariamente calarsi per dipanare l'enigma legato al deplorevole assassinio. Nella stanza del bordello, impregnata di "un profumo francese raffinato, penetrante e dal vago aroma di lavanda", non vi sono tracce di sangue né segni di colluttazione: la vittima è stata semplicemente soffocata con un cuscino. Comincia così la complessa indagine sull'uccisione di Vipera. Un'inchiesta che comincia a muovere i primi passi proprio nei giorni immediatamente precedenti la Pasqua, nella Settimana Santa, uno dei periodi - a detta di Ricciardi - più strani dell'anno: il momento in cui i cattolici più osservanti intensificano le pratiche di penitenza e di preghiera, mentre gli agnostici più irriducibili, evitata accuratamente qualsiasi costrizione, si dedicano con maggior impegno ai propri svaghi, frequentando assiduamente i numerosi bordelli e le bische disseminati nella città. Ma tutti, senza esclusione di sorta, si preparano a festeggiare la ricorrenza pasquale, fatta di riti e tradizioni culinarie irrinunciabili. E mentre nell'aria si diffondono le deliziose fragranze provenienti dalle cucine, dove le donne si dedicano con zelo alla preparazione dei piatti più caratteristici della gastronomia partenopea, come il casatiello e la pastiera, anche il commissario Ricciardi si appresta a dosare e mescolare diligentemente tutti gli indizi raccolti, per la realizzazione della giusta ricetta occorrente per la risoluzione del caso. Nella stanza della casa di tolleranza di Via Chiaia, ove è avvenuto il delitto, echeggiano ancora le ultime parole pronunciate dalla vittima: "Frustino, frustino, il mio frustino", ma solo Ricciardi è in grado di percepirle. E il tempo incalza, dal momento che il provvedimento di chiusura del postribolo deve essere revocato al più presto per non danneggiare l'attività. E per Vipera, la peccatrice, non c'è neanche la consolazione di ricevere una cristiana sepoltura. Il corso degli eventi cambia però grazie all'intervento di Vincenzo Ventrone, uno dei due soli clienti di Maria Rosaria, che organizza per lei un funerale pubblico con tanto di corteo e benedizione sacerdotale. Ed è proprio durante il rito funebre, celebrato durante le prime ore del mattino per non suscitare scandalo, che uno spiacevole incidente turba il lento fluire del mesto accompagnamento. Alcune camicie nere importunano in modo pesante le compagne di Vipera, e il dottor Modo, amico fraterno di Ricciardi, interviene in loro aiuto. E' l'inizio di un incubo, culminato con l'arresto del medico e la condanna al confino, un sopruso che il commissario non può assolutamente permettere. In un'affascinante scorribanda che si snoda fra le strade e i vicoli del centro storico di Napoli fino al Vomero, quartiere d'origine di Vipera, la città scorre sotto gli occhi del lettore attraverso immagini di inusitata potenza, un coacervo di aromi, colori e suoni: le variopinte e fantasiose esposizioni di merci degli ambulanti, le melodie dei suonatori, i profumi di cucina mescolati all'odore di incenso impiegato per la tradizionale benedizione delle case, il rumore dei battipanni usati per percuotere gli indumenti da riporre per l'inverno, o ancora lo struggente lamento degli agnellini e dei capretti, ignare vittime del prossimo sacrificio, accompagnato dal canto armonioso e inconsolabile degli uccelli di San Giuseppe. Ma il quesito permane: chi ha compiuto l'insano gesto? Chi ha voluto spezzare la giovane vita di Maria Rosaria Cennamo? Troppi sono gli interrogativi a cui rispondere e un solo indizio può svelare l'arcano; Ricciardi annaspa nella ricerca della verità, ma sarà proprio un aneddoto, raccontato dall'amico medico Bruno Modo, a suggerirgli inconsapevolmente la risoluzione del caso. Un romanzo, quello di Maurizio De Giovanni, che scava nella storia e nella coscienze e che denuncia il clima di violenza e sopraffazione instaurato dall'avvento del fascismo; un racconto che ci restituisce la forza dirompente dei sentimenti, che mescola l'amore e la morte: ed è proprio da questo imprescindibile dualismo che comincia il percorso narrativo dell'autore, intenso, colorato e struggente, ricco di emozioni e profumato come una fetta di pastiera.
In occasione della festa di San Giuseppe, ci racconta De Giovanni, "le strade si riempivano di venditori di uccelli in quanto, secondo un'antica tradizione, chiunque avesse acquistato un volatile avrebbe ricevuto una grazia dal santo; gli uccelli (in particolare cardellini e canarini) venivano inoltre crudelmente accecati con uno spillo per ottenere un canto melodioso e disperato".

"[...] L'aria stessa aveva nuovi profumi: arrivavano dalle cucine, nelle quali l'attività era febbrile. L'acqua di fiori d'arancio, la cannella e la vaniglia, il grano cotto, i limoni si facevano largo a gomitate tra gli aromi del caffè, del pesce cotto sul carbone e delle mille fritture che in genere imperavano, insieme al letame dei cavalli da tiro e ai gas di scarico di furgoni e automobili. Su tutti il profumo dominante era quello che veniva dai forni, dove le donne portavano a cuocere le pastiere e i casatielli, regine e re della festa che stava arrivando..."

"[...] Non voleva applicare strategie, e non ne sarebbe stata nemmeno capace. Mentre stendeva la pasta frolla nella teglia, attenta a non superare il mezzo centimetro di spessore, creando il cratere che come un ventre di donna avrebbe accolto il composto di grano e ricotta e mille profumi, penso a sé e all'uomo che amava come al dolce che stava preparando: qualcosa di complesso, articolato e difficile che avrebbe dato luogo a qualcos'altro, che sarebbe stato molto più della somma delle parti..."


OGNI VOLTA CHE VIENE PRIMAVERA...
[...] Come a un segno convenuto, Lucia cominciò a disporre sul tavolo gli ingredienti necessari alla preparazione del dolce: la pasta frolla, preparata nelle prime ore della giornata quando tutti ancora dormivano; la ricotta di pecora, in un cestino di paglia intrecciata; il grano, cotto nel latte fresco; lo zucchero bianco raffinato; lo strutto, le uova, la cannella, il limone; il cedro e la cucuzzata, zucca candita per la quale Lucia andava famosa; e la delicatissima acqua di fiori, preparata infondendo in acqua calda, poi filtrata, i fiori dell'albero di arance amare, il vero profumo della primavera. [...] Mentre i bambini di casa Maione spalancavano gli occhi davanti a tutto il ben di Dio che Lucia aveva disposto sulla tavola, il brigadiere disse: - Molto, molto tempo fa, quando la città era giovane, c'era solo un piccolo villaggio di pescatori vicino al mare. E dal mare veniva quasi tutto quello che c'era da mangiare, il pesce, i crostacei, le cozze, tutto. Un giorno però venne una tempesta, e le barche dei pescatori non potevano uscire più; la tempesta non finiva, passavano le settimane e ormai le riserve erano finite, non c'era più niente. - Proprio così, - disse il brigadiere Maione ai figli. - Il mare non ne voleva sapere, di calmarsi. E siccome ormai era arrivata la primavera e i bambini avevano fame, i pescatori decisero di uscire lo stesso, anche se la tempesta urlava ancora. Le mogli e i bambini erano disperati, al pensiero dei papà che affrontavano quelle onde alte più delle case. Ogni sera si riunivano sulla spiaggia, sotto la pioggia, e pregavano e piangevano e si disperavano, perché il mare cattivo restituisse i papà con le loro barche. [...] - La nostra città, - disse Maione, - era piccola, ve l'ho detto. Ma i bambini e le donne erano come adesso, quando piangevano lo facevano a voce così alta che era impossibile non ascoltarli. E alla fine una sirena, che sarebbe una donna con una lunga coda di pesce che vive sotto il mare, di nome Partenope, venne fuori e disse: ma perché piangete e strillate giorno e notte, e non mi fate dormire? La bambina che gli stava in braccio disse, stringendosi a lui: - Perché volevano i papà! - E brava, proprio così risposero i bimbi alla sirena Partenope. E lei, che era una sirena buona, si commosse e disse: mo' ci penso io. E si inabissò di nuovo per andare a parlare a suo padre, il Mare. Per dirgli che c'erano tutti quei bambini e quelle mogli che aspettavano il ritorno degli uomini per poter mangiare e riabbracciarli. Lucia unì l'impasto al grano, cotto nel latte, aggiungendo la cucuzzata e il cedro candito tagliato a dadini. [...] - Il Mare brontolò, - disse Maione - perché non voleva consentire alle barche di rientrare a casa, si stava divertendo troppo con quella tempesta. E poi aveva fame, ed era di malumore. Partenope, che lo conosceva bene, andò a dirlo alle mamme e ai bambini sulla spiaggia, e loro si riunirono per decidere cosa fare. Fu allora che alla bambina più piccola venne in mente un'idea: siccome era primavera, e il Mare non lo sapeva, pensò di dirglielo facendogli vedere tutte le belle cose che la stagione portava. Così prepararono tante scodelle con le bontà della terra: la ricotta e la farina, simbolo della campagna fertile; le uova, simbolo della vita che si rinnova; il grano bollito nel latte e l'acqua di fiori d'arancio, simbolo dell'incontro delle piante e degli animali; lo zucchero, simbolo della dolcezza, e le spezie, simbolo dei popoli lontani affratellati proprio dal mare. E misero tutto là, vicino alla spiaggia. [...] Durante la notte, le onde portarono i doni in fondo al mare; Partenope, che aspettava, unì tutto e preparò una torta che diede al padre. Lui se la mangiò, una fetta alla volta, e la fame gli passò, e insieme alla fame gli passò la rabbia e si calmò, diventando una tavola. Così le barche poterono rientrare, cariche di pesce, e i bambini riabbracciare i propri padri. Da allora, ogni volta che viene la primavera, le mamme ripensano a quel giorno e preparano la torta che preparò Partenope. [...]

 


 

La ricetta
CASATIELLO

Il casatiello è una torta salata, tipica del napoletano, confezionata durante il periodo pasquale; protagonista assoluto nei menu delle gite fuori porta (Pasquetta), deve la sua denominazione alla presenza preponderante del formaggio nella sua preparazione: "caso" infatti è la forma dialettale per indicare per l'appunto il cacio. La preparazione tradizionale prescrive l'utilizzo di salame napoletano e pecorino romano, ma esistono numerose varianti che prevedono l'aggiunta di prosciutto cotto e/o mortadella e per quanta riguarda i formaggi, di provolone, parmigiano e fontina. La forma della torta, circolare e con un foro al centro, riproduce quella di una corona, che nella fattispecie, ricorda il serto di spine del Cristo crocifisso.
La ricetta riportata prevede l'impiego di salame napoletano, provola e pecorino.

Ingredienti
400 g di farina; 150 g di sugna (strutto); 30 g di lievito di birra; 100 g di salame napoletano; 100 g di provola; 30 g di pecorino; 4 uova; sale q.b.; pepe q.b.
Procedimento
Sciogliete il lievito con un po' di acqua tiepida e unitelo alla quantità di farina necessaria per ottenere un impasto di media consistenza; fatelo poi lievitare fino a quando avrà raddoppiato il suo volume. Impastate nuovamente con il resto della farina, 100 g di sugna, sale, pepe ed acqua lavorando energicamente e a lungo la pasta. Rimettetela quindi nuovamente a lievitare per almeno tre ore. Stendete la pasta su di una spianatoia, lavoratela ancora per qualche minuto, poi stendetela ricavando un grande rettangolo dello spessore di circa 1 cm., lasciandone da parte un po' per le decorazioni. Ungete abbondantemente l'impasto con la sugna, distribuitevi il salame e la provola tagliati a dadini e cospargete il tutto con il pepe ed il pecorino grattugiato. Arrotolate con delicatezza la pasta ungendola ancora di sugna via via che la avvolgete. Ungete abbondantemente anche lo stampo da casatiello e disponetevi il rotolo di pasta a ciambella unendo bene le due estremità. Incastrate nella pasta quattro uova crude con tutto il guscio, ben lavate e asciugate; ricopritele infine con listelli di pasta incrociati e fate lievitare ancora per un paio d'ore. Fate cuocere in forno a calore moderato per circa un'ora.

 


La ricetta
PASTIERA NAPOLETANA

Nella cucina partenopea la pastiera costituisce il dolce tradizionale del periodo pasquale. Emblema della primavera, l'antica preparazione rimanda le sue origini alla leggenda della sirena Partenope (ricostruita puntualmente da De Giovanni e sopra riportata). Per consuetudine il dolce viene preparato tra il giovedì e il venerdì santo, per essere gustato poi a Pasqua, al fine di consentire un'armonica fusione dei diversi ingredienti. Moltissime sono le varianti ascrivibili alla ricetta, perché ciascuna famiglia ne possiede una propria, gelosamente conservata e tramandata; inoltre, in alcune zone della Campania, si usa aggiungere nel consueto ripieno, della crema pasticciera. Un gustoso aneddoto, con protagonista Ferdinando II di Borbone, racconta come lo stesso fosse riuscito a strappare un sorriso all'algida moglie Maria Teresa d'Austria, proprio grazie ad una fettina di pastiera. Una versione storica della ricetta ci viene fornita da Ippolito Cavalcanti nel suo trattato "Cucina teorica-pratica" del 1837, caposaldo della cucina partenopea. Il profumo dolcissimo di questa leccornia pervade finanche i versi di una poesia di Eduardo De Filippo dal titolo "Pasca e Natale": «Buon Natale!», te dice 'o farmacista, e te conzegna 'e ppinnole p' 'a sera. «Buona Pasqua!», e te pesa a primma vista l'essenza 'e fior d'arancio p' 'a pastiera...

Ingredienti
Per l'impasto (pasta frolla)
280 g di farina; 2 uova; 140 g di zucchero; 140 g di strutto; 1 pizzico di sale.
Per il ripieno
250 g di grano cotto; 1 bicchiere di latte; 20 g di burro; 350 g di ricotta; 200 g di zucchero; 2 uova intere più 2 tuorli; 1 pizzico di cannella; 1fialetta di fior d'arancio; 50 g di cedro candito, 50 g di "cucuzzata" (zucca candita) o in alternativa di arancia candita, 1 pizzico di vaniglia, scorza di limone, zucchero a velo.
Procedimento
Preparate la pasta frolla impastando farina, uova, zucchero, strutto e sale, avendo cura di non lavorarla troppo, quindi lasciatela riposare in frigorifero per trenta minuti. Mettete in una pentola il grano cotto, il latte, il burro e la scorza di limone, portate a ebollizione e fate cuocere per 10 minuti, sempre mescolando. Lasciate raffreddare. Per il ripieno, mescolate la ricotta con lo zucchero, la vaniglia e la cannella; aggiungete una alla volta le uova intere ed i tuorli. Amalgamate il tutto con il grano cotto, unendo infine i canditi tagliati a dadini e l'aroma di fiori d'arancio. Foderate con la pasta frolla (circa i 2/3 dell'impasto) una teglia precedentemente unta e infarinata, quindi versate all'interno il composto e ricavate dalla pasta rimasta delle strisce da sovrapporre all'impasto stesso, formando una griglia. Fate cuocere in forno a 170-180° per circa 1 ora. Ultimata la cottura, fate raffreddare e servite dopo averne spolverizzata la superficie con zucchero a velo.

[...] Poi arrivava la primavera, e la settimana santa che culminava nella Pasqua. Quando non giungevano insieme bisognava mordere il freno, con la natura che si risvegliava e il sole nuovo che solleticava la pelle e mal si coniugava con l'ultima parte del periodo di penitenza, ma quando, come quell'anno, primavera e settimana santa coincidevano alla perfezione, allora la festa era doppia. [...] Lucia, mentre percorreva largo della Carità verso il mercato della Pignasecca, pensò che era pronta: aveva preparato la batteria delle proprie armi con largo anticipo. I tegami erano lucidi, i coltelli affilati, gli ingredienti che potevano essere conservati erano già stati acquistati, i menu erano stati ampiamente pianificati. [...] Ora l'attesa stava finendo, e le donne di casa Maione si sarebbero misurate col banco di prova più serio e impegnativo della cucina napoletana: il casatiello e la pastiera. Lucia avrebbe iniziato le due bambine ai segreti più intimi e custoditi della famiglia, quelli che avrebbero poi utilizzato per fare in modo che i loro uomini le guardassero con riconoscenza e beatitudine per ogni Pasqua della loro vita. [...]

 


Per saperne di più
Eduardo De Filippo, Le poesie di Eduardo, Torino, Einaudi, 1975
Ippolito Cavalcanti, Cucina teorico-pratica, Milano, G. Tommasi, 2002
Marcello D'Orta, Cuore di Napoli. Viaggio sentimentale tra i vicoli e i bassi della città, Napoli, Rogiosi, 2013
In cucina
Eduardo Estatico, Gerardo Gagliardi, La cucina napoletana in oltre 200 ricette, Roma, Newton Compton, 2014
Enrico Volpe, Egano Lambertini, La cucina napoletana. A tavola con le ricette e la storia di una città, Napoli, Cuzzolin, 2013
Amedeo Colella, Mangianapoli. 180 cose da mangiare a Napoli almeno una volta nella vita, Napoli, Ateneapoli, 2012
Maddalena Venuso, Giuseppe Ottaiano (a cura di), Sapori napoletani. Tradizione verace delle terre di Napoli, Napoli, Rogiosi, 2011

 

 

 

 

 

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