Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Biblioteca di Trimalcione

Il cibo e le parole che curano l’anima…

"Nessuno conosce le ricette della felicità".
"Ho verificato che nella mia arte poche regole si confermano.
Diffida di me, non cucinare i miei decotti se ti assale l'ombra di un dubbio.
Ma leggi questo tentativo fallace di stregoneria:
lo scongiuro, se serve, non è altro che il suono:
ciò che cura è l'aria che esalano le parole"

"Sana abitudine è il digiuno nei giorni di disgrazia. Nella mia lunga pratica con frutti e verdure, con erbe e radici, con muscoli e viscere delle varie bestie selvatiche e domestiche, ho trovato in certe occasioni vie di consolazione. Sono preparati semplici e molto poco rischiosi. Prendili, tuttavia, con cautela: i migliori rimedi, per alcune, sono veleno. Però fai la prova, tenta. Non è bene che accarezzi, passiva la tua infelicità. La tristezza costipa. Cerca la purga delle lacrime, non fuggire il sudore, dopo il digiuno prova le mie ricette". Queste alcune delle esortazioni riportate nell'incipit del "Trattato di culinaria per donne tristi" redatto dallo scrittore colombiano Hèctor Abad Faciolince, uno fra i più apprezzati esponenti della letteratura sudamericana contemporanea. L'opera, a quindici anni di distanza dalla pubblicazione in Italia (Sellerio, 1997), viene offerta ai lettori in una nuova veste editoriale, curata dalla stessa casa editrice. A dispetto del titolo, il testo non costituisce né una pura e semplice dissertazione sul cibo, né tantomeno una mera raccolta di ricette: potremmo definirlo piuttosto un raffinato componimento ludico, un gioco intellettuale intriso di ironia e levità, che celebra il trionfo dell'arte oratoria. Fra le pagine si rincorrono alternandosi voluttuosamente, ammaestramenti, adagi, bizzarrie gastronomiche e pratiche di cucina per la realizzazione di ricette ad alto impatto emozionale; allegorie di piatti costruiti attraverso la puntuale vivisezione dei più comuni moti dell'animo, ma anche e soprattutto gustose pietanze approntate con ingredienti talora inverosimili (l'esempio più eclatante è costituito dall'impiego di carne di dinosauro e dell'altrettanto improbabile latte di mammut), talora reali, ma spesso del tutto sconosciuti nel nostro paese, come nel caso di bacche appartenenti a specie autoctone del continente americano, diligentemente segnalate in un glossario inserito alla fine del testo. Del resto è lo stesso autore a dichiarare, senza reticenza alcuna,"di non essere un gourmet gottoso e goloso o un grande gastronomo", quanto piuttosto un manipolatore di parole, un arcimago che esercita il potere e la magia della scrittura. Pertanto fondamentali nella costruzione del trattato, non sono soltanto le accurate descrizioni che accompagnano la preparazione dei piatti, quanto piuttosto il potere taumaturgico rivelato e trasmesso attraverso di essi: insegnamenti e antidoti per le più comuni affezioni dell'anima, che l'autore dedica a tutte le donne, con uno sguardo particolare a quelle della sua famiglia, citate nella dedica di copertina "Alle mie cinque sorelle. Anzi, alle mie sei madri". Dopo un singolare elogio del digiuno, da praticarsi rigorosamente nei giorni di disgrazia, il primo rimedio proposto da Abad Faciolince per arginare l'angoscia cagionata dalla lontananza del proprio amato e sostenere il "peso invisibile della sua assenza", si concretizza in una profumata infusione ottenuta con 28 foglie nuove di cedronella; contro la tristezza invece, niente di meglio di un piatto malinconico: il cavolfiore nella nebbia. Ma lo scrittore colombiano non elargisce soltanto preziosi consigli corredati da apposite pietanze curative: la sua natura estrosa, stravagante lo porta a dispensare ai suoi lettori finanche "fervorini" comportamentali: "Mai, tranne dopo il terzo anniversario della sua scomparsa, proverai a imitare le ricette di tua suocera". Questo perché mentre è in vita, tuo marito troverà i piatti preparati da sua madre sempre e comunque superiori ai tuoi. Ma una volta morta, quando il suo ricordo si sarà stemperato nel tempo, preparare le sue ricette costituirà una gradita sorpresa e anche le tue preparazioni raggiungeranno la perfezione del suo tocco, riportandone in vita la memoria. Continuando la coinvolgente lettura apprendiamo poi che per combattere l'inappetenza dei bambini ed i loro pianti infiniti si può utilizzare il trucco segreto del più sapiente cuoco emiliano: Pellegrino Artusi. Lo stesso ci suggerisce di sbattere un tuorlo d'uovo con due o tre cucchiaini di zucchero in polvere, unendovi poi la chiara montata a neve e accompagnando il tutto con alcune fettine di pane da intingervi. E per dissolvere il ricordo di un brutto amore passato? La ricetta, rivelata all'autore da una fattucchiera delle lande dell'altipiano, prevede l'utilizzo di una lumaca senza guscio, che dopo essere stata cosparsa di sale, dovrà essere seppellita venti centimetri sotto terra... Per l'insonnia e l'oblio, al contrario, non esistono antidoti sufficientemente efficaci: per la prima, il sonno indotto è troppo simile alla morte, mentre nel secondo caso il rimedio impiegato cancellerà indiscriminatamente tutti i ricordi, non soltanto quelli spiacevoli. Il trattato contempla naturalmente altre affezioni dell'animo femminile, come il senso di colpa, l'impazienza, il dolore del tradimento o quello della vedovanza. Ci sono poi le prescrizioni ed i consigli per risolvere piccole noie quotidiane come il singhiozzo, il colorito spento, l'alito cattivo, le voglie della gravidanza o il ciclo mestruale. Tra ricette di cucina che rammentano filtri magici e rituali provenienti dalla notte dei tempi, Abad Faciolince, ci consegna il segreto per sconfiggere e superare le piccoli e grandi afflizioni della nostra esistenza: il potere salvifico della parola, che alimenta il nostro spirito, conforta, "guarisce", e che costituisce un bisogno primario per l'uomo, proprio come l'atto del nutrirsi.

Sentimento: Impazienza
[...] Non pretendo di determinare nessun destino. I tortuosi cammini che tracciano le nostre vite ci sembrano a volte erratiche deviazioni, inutili tortuosità quando esistono percorsi molto più rapidi. Ma io non distribuisco colpe o innocenze, errori o successi, medaglie o castighi. Nessuno può indicarti l'infallibile via della felicità. Te la costruisci da sola e tuttavia non dipende nemmeno da te, ma da un insieme casuale e sempre diverso di caso e volontà. Cosa fa sì che la tua immaginazione ti porti ad amare la persona sbagliata? E a scegliere la solitudine quando più ti conveniva condividere letto e tetto? Ma non esiste nessuno che lo sappia sin dall'inizio e l'esperienza altrui non ti serve. Per i momenti di impazienza in cui la vita ti sembra una continua perdita di tempo, ti darò una ricetta che fa trascorrere minuti più sereni, aiutandoti a convincerti della poca importanza che hanno i secondi e le ore e i giorni. Lascia che scorrano in silenzio e impara questa lentezza dal coniglio in borbottì.

La ricetta
CONIGLIO IN BORBOTTI'.

L'inquieto, il nervoso, il tremante coniglio, termina la sua lussuriosa corsa mondana senza pelle, senza interiora, a pezzi in fondo a una pentola di terracotta. Fa quasi pena quella sua carne violacea e quasi si capiscono i vegetariani. Bisogna fare una lunga cerimonia di purificazione e sacrificio per osare masticare le sue carni delicate. Si tratta, ti ripeto, del coniglio in borbottì. Il coniglio va deposto, dunque, nella pentola, trinciato. Si aggiungono molti aromi: timo, alloro, pepe, chiodi di garofano, rosmarino, prezzemolo. E aglio e cipolle giganti. Due litri di vino secco rosso come il sangue. Si mette a cuocere a fuoco lento, più che lento, lentissimo, nemmeno sul fuoco, vicino al fuoco. Lì, passate le ore, incomincia a borbottare, il coniglietto incomincia a borbottare. Non bolle, non gorgoglia, non sbuffa, non protesta, ma libera il suo spirito in un borbottio leggero, lento, inafferrabile quasi, quasi impercettibile. Pochi borbottii brevi e piccoli salgono. E deve borbottare tutta la sera, tutta la notte, tutto il mattino e solo al crepuscolo del giorno dopo si potrà cominciare ad assaggiarne e masticarne i bocconi. Sono deliziosi, leggeri, inanimati. Sono quasi una verdura, nonostante le ossa, perché le ossa dopo due giorni sono come noccioli o semi. Il coniglio in borbottì ti insegnerà la calma e il distacco di cui necessiti. Prova questo segreto, questa diceria o sciocchezzuola, assaggia questo borbottio se non mi credi e per credermi.

Sentimento: Tristezza
[...] Fai piroette col corpo e l'immaginazione per evadere dalla tristezza. Ma chi ha detto che è proibito essere tristi? In realtà, molte volte, non c'è nulla di più sensato che essere tristi; quotidianamente succedono cose, agli altri o a noi, per cui non c'è rimedio, o per meglio dire, per cui c'è quell'unico e antico rimedio di sentirsi tristi. Non lasciare che ti prescrivano allegria, come chi ordina un ciclo di antibiotici o dei cucchiai di acqua di mare a stomaco vuoto. Se lasci che trattino la tua tristezza come una perversione o, nel migliore dei casi, come una malattia, sei perduta; oltre a essere triste ti sentirai in colpa. E non hai colpa di essere triste. Non è normale sentire dolore quando ti tagli? Non ti brucia la pelle se ti danno una frustata? Be', allo stesso modo il mondo, la vaga successione dei fatti che accadono (o che non accadono), creano un fondo di malinconia. [...] Vivi la tua tristezza, palpala, sfogliala nei tuoi occhi, bagnala di lacrime, avvolgila nelle grida o nel silenzio, copiala nei quaderni, segnala sul tuo corpo, fissala sui pori della tua pelle. Infatti, solo se non ti difendi fuggirà, a momenti, in un altro posto che non è il centro del tuo dolore intimo. E per degustare la tua tristezza devo consigliarti anche un piatto malinconico: cavolfiore nella nebbia.

La ricetta
CAVOLFIORE NELLA NEBBIA

Si tratta di cuocere quel fiore bianco e triste e consistente, col vapore acqueo. Lentamente, con lo stesso odore dell'alito che emana la bocca nei lamenti, si cuoce fino a intenerirsi. E, avvolto nella nebbia, nel suo vapore fumante, aggiungigli olio d'oliva e aglio e un po' di pepe, e salalo con lacrime che siano tue. E assaporalo lentamente, mordendolo dalla forchetta, e piangi di più e piangi ancora, che alla fine quel fiore andrà succhiando la tua malinconia senza lasciarti asciutta, senza lasciarti tranquilla, senza rubarti l'unica cosa tua in quel momento, l'unica che nessuno potrà ormai toglierti, la tua tristezza, ma con la sensazione di aver condiviso con quel fiore immarcescibile, con quel fiore assurdo, preistorico, con quel fiore che i fidanzati non chiedono mai dai fiorai, con quel fiore del cavolo che nessuno mette nei vasi, con quell'anomalia, con quella tristezza fiorita, la tua tristezza di cavolfiore, di pianta triste e malinconica.[...]

[...] La mia ambizione è cercare una soluzione alla tua malinconia e il vero cammino me lo indicò un grande poeta della fredda Inghilterra, colui che fece dire a uno dei suoi personaggi, quasi pazzo per eccesso di senno:«Dammi un'oncia di muschio, buon farmacista, per profumare la mia immaginazione». Io non vorrei essere niente di diverso da questo, un buono speziale, un farmacista, il padrone delle ricette per profumare la tua fantasia.

Brani riportati in corsivo sono tratti da Héctor Abad Faciolince, Trattato di culinaria per donne tristi, Palermo, Sellerio, 2012

 



PER SAPERNE DI PIU'
Paolo Rossi, Mangiare: bisogno, desiderio, ossessione, Bologna, Il Mulino,2011
Tra malattie del corpo e dello spirito, un percorso affascinante alla scoperta del valore culturale e antropologico del cibo.