Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Cibo per la mente

Senza cuore di Marco Onofrio

È davvero notevole la complessità di intenti e snodi che offre il romanzo "Senza cuore", la nuova opera di Marco Onofrio. Si passa dalla "poppa" alla "prua" di una nave potente e affilata (la narrazione) che si percorre, ponte dopo ponte, attraverso 164 pagine di grande intensità, che rubano lo sguardo e avvincono il pensiero. Dentro questo viaggio in fondo agli occhi misteriosi del silenzio (la realtà quale è: l'alterità irriducibile del mondo) Onofrio racchiude a cerniera moltissime elaborazioni personali, accordando la sua fervida fantasia con una spiccata attitudine filosofica e una realtà umana estremamente tangibile, sanguigna, tutta cose. Questo libro è come un policordo (strumento a più corde) dal quale Onofrio riesca a strappare suoni strani e suggestivi, comprensibili con il potere di un'inventiva che sfocia nell'arte alchemica di maneggiare e accostare parole, dando vita a fatti e personaggi singolari, diversi, ma sempre autentici, fra i quali l'autore assume le vesti di ideale "direttore d'orchestra". In gioco c'è la vita in bianco e nero, con i suoi drammi interiori portati ad un estremo apertamente dichiarato, un eccesso che riflette la crisi quotidiana dell'identità: il domandarsi della propria esistenza, toccando i tasti delle possibilità personali, del dubbio, del rischio, del fallimento: chi realmente noi siamo? come pensiamo di essere o come gli altri ci vedono? «Per me che mi conosco o per lui che crede di capirmi? Secondo le sue aspettative? O le mie? La mia realtà? La sua?»

Onofrio si propone a mo' di Gulliver contemporaneo: fantasia e satira si rincorrono, come nel romanzo di Jonathan Swift, per sfociare in una parodia apocalittica dei nostri tempi, dei meccanismi inconsci che ci muovono. È un autore scomodo e dissonante, un "guastafeste" che utilizza la scrittura non solo per sfogare la sua acredine contro le cose inautentiche di cui siamo ingombri (e quindi per muoverci alla verità), ma anche per offrire "grattacapi" da sfilacciare, senza bandolo della matassa, ovvero senza soluzioni alla portata: come un dolore non altrimenti localizzabile, che è meglio acuire - piuttosto che rimuovere - per capirne finalmente l'origine. Onofrio esige lettori coraggiosi: non quelli in cerca di consolazione, o di facile intrattenimento. Occorre imparare a scrutare nel fondo del bicchiere comune. Bere la cicuta fino alle ultime gocce. Questo "poema in prosa" metafisico che è "Senza cuore" disegna dunque un percorso grottesco e surreale attraverso gli strati inferi e infernali della solitudine, dell'inettitudine, dell'incomunicabilità; dell'idiosincrasia al mondo dei "normali" che si adattano e si accontentano, senza farsi tante "inutili" domande. È, per certi versi, il "diario di un folle" che parla con tagliente, visionaria lucidità. Dalla scansione labirintica che contraddistingue la parte iniziale del libro, l'antieroe protagonista si immerge nel magma putrido della materia e rivisita, in guisa di flashback, i mattoni fondanti della sua (nostra) costruzione umana: una costruzione sempre aperta e "in divenire", perché «di cose da imparare è pieno il cammino, come di stelle in cielo».

E il cuore? Il cuore incontra le donne, i palpiti, gli affanni, i primi approcci: la fame di terra e di vita. E attraversa i limiti della libertà, e gli estremi confini del sogno. E poi, alla fine, trova la sua strada per uscire dal petto, per sciamare nel mondo e andare via: «come il palloncino dei bambini, quando sfugge loro dalle mani. E sale, e sale... » Qualunque bambino piangerebbe quando il palloncino si perde e va verso il cielo. Non l'io narrante: ora che è "senza cuore", ha imparato finalmente a sostenere «tutto quello che si è perso e non c'è più». Il romanzo è, per gran parte, il referto di questo faticoso apprendistato della vita, che procede al rinnovamento dei suoi presupporti e dei suoi contenuti universali attraverso la catabasi battesimale, l'immersione creativa nel non essere di una presunta totalità. C'è un grande silenzio da riconquistare, fuori e dentro noi, se si aspira ad una liberazione autentica, malgrado i rischi che questo comporta. Vanno apprezzati testi coraggiosi come "Senza cuore" per la capacità che hanno di mettersi, e metterci, "in cammino".

Per la rubrica Cibo per la mente - Numero 113 dicembre 2012