
Per la prima volta dopo quindici anni alle prese con un soggetto tutto suo (l’idea dello script sembra gli sia stata ispirata dall’incontro con lo scrittore Salman Rushdie condannato a morte dalla jihad islamica, dopo la pubblicazione dei Versetti satanici, e costretto quindi a viaggiare sempre con un computer portatile che rappresenta la sua “porta” verso il mondo e la comunicazione), Cronenberg, utilizzando qui la metafora del gioco e della realtà virtuale, continua l’esplorazione del lato mostruoso dell’essere umano, delle sue pulsioni segrete e delle paure più recondite (del resto, sostiene il regista, il compito dell’artista non è quello di «andare a vedere cosa succede là dove nessuno s’avventura»?). I temi e le ossessioni sono quelli di sempre: la metamorfosi del corpo, la perdita dell’identità, l’organismo e le sue protesi biologiche o tecnologiche, l’eterno conflitto tra inconscio e razionalità. E la “morale” è radicalmente pessimista: il reale e il virtuale, la realtà e la fantasia, la vita e la morte, che si sovrappongono in un labirintico gioco di specchi in cui è impossibile districarsi e trovare vie di fuga, sono le due facce di un universo paranoico e sconvolto, due dimensioni inscindibili dell’essere.
Per la rubrica
Cinema
- Numero 48 dicembre 2005