Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Biblioteca di Trimalcione

SPECIALE 8 MARZO

Il Conto delle minne

Un trasgressivo ed avvincente viaggio nell\'universo femminile

Un secolo di storia della Sicilia in cui le donne sono le assolute protagoniste: donne fragili, inermi, risolute, forti o appassionate, sempre in lotta con se stesse e con il mondo, ma capaci infine di scegliere, di reagire, di affrontare un cammino esistenziale da sempre in salita. Il "Conto delle minne", di Giuseppina Torregrossa, è un inno alle donne e alla loro femminilità, imbevuto del gusto gioioso del cibo e della sua preparazione, un'analisi puntuale del composito rapporto tra uomo e donna ma anche il racconto di un percorso di riscatto e crescita interiore. Ricco di spunti autobiografici, il romanzo si apre con la meticolosa descrizione della procedura di realizzazione di un classico della pasticceria tradizionale siciliana: le "minne" (letteralmente i seni) di sant'Agata". Ogni anno infatti, nel giorno che precede la festa della santa, celebrata il 5 febbraio, nella cucina odorosa "di dolci, lievito e farina" di Via Alloro, a Palermo, sotto le abili ed esperte mani di nonna Agata, l'antica ricetta tramandata attraverso le donne della famiglia, prende forma trasformandosi nelle celeberrime e squisite cassatelle ripiene di crema alla ricotta. All'immancabile appuntamento sono presenti nonna e nipote, che portano entrambe il nome della santa, e sarà proprio Agatina, voce narrante del romanzo, l'erede designata a custodire i segreti inerenti la preparazione dei dolci e la storia legata alla loro origine. Secondo le tenaci convinzioni religiose di nonna Agata, le cassatelle posseggono infatti poteri taumaturgici: tengono lontane le malattie e, nel caso più sfortunato, assicurano la guarigione. Il dolce talismano tuttavia, per recare i suoi benefici, deve essere necessariamente confezionato in numero pari, perché pari deve sempre risultare "Il conto delle minne". Così mentre impastano le cassatelle, proverbi, consigli di cucina e di vita si mescolano: "Prima o poi te ne accorgerai anche tu che qui in Sicilia, isola di cruzzuni, i desideri delle donne non contano niente, mentre quello che vogliono gli uomini diventa destino", ammonisce con lungimiranza nonna Agata. Poi il racconto, inevitabilmente, rievoca la dolente ed eroica vicenda della Santuzza: la breve esistenza di sant'Agata, vergine e martire del III secolo, di cui è conservata memoria nel Martirologio Geronimiano. La storia che si intreccia a tratti con la leggenda, racconta che la bellissima Agata, giovinetta di fede cristiana e di nobile lignaggio, respinse le profferte del console Quinziano che si era invaghito di lei e per questo subì il martirio con la mutilazione dei seni, in seguito ricresciuti miracolosamente grazie all'intervento di san Pietro. A ricordo del suo sacrificio e del prodigioso episodio ad esso legato, alla santa, patrona della città di Catania divenuta emblema dell'emancipazione femminile, è dedicato un dolce votivo a forma di piccolo seno, dalle molteplici denominazioni ("minne", "paste delle vergini", "cassatelle"), a base di pastafrolla, ricotta, canditi, vaniglia e cioccolato. L'originale invenzione gastronomica venne realizzata in un convento di clausura di Palermo; diffusa in tutta la Sicilia, la preparazione dolciaria presenta numerose varianti in relazione alla collocazione territoriale: mentre a Catania le cassatelle vengono arricchite con una glassa a base di zucchero, a Palermo le stesse sono tradizionalmente ripiene di "zuccata" (zucca candita). Con l'appellativo di "paste delle vergini", il dolce "impudico" viene menzionato anche da Giuseppe Tomasi di Lampedusa attraverso le parole pronunciate dal Principe di Salina, in un passo del noto romanzo "Il Gattopardo":"Di queste Don Fabrizio si fece dare due e tenendole nel piatto sembrava una profana caricatura di Sant'Agata esibente i propri seni recisi. "Come mai il Santo Uffizio, quando lo poteva, non pensò a proibire questi dolci? I 'trionfi della Gola' (la gola, peccato mortale!), le mammelle di S. Agata vendute dai monasteri, divorate dai festaioli! Mah!". L'eroica storia di Sant'Agata, infarcita delle deliziose e taumaturgiche paste dolci, serve da preambolo nel romanzo della Torregrossa, per l'avvio de "Lu cuntu", ovvero il racconto che rievoca le vicende di due famiglie siciliane e delle loro donne: la nonna Agata, la nonna Margherita, la bisnonna Luisa, le zie Nellina e Titina, un matriarcato spodestato dalla prepotenza e dall'indifferenza degli uomini. Tutte le protagoniste della narrazione infatti, devono opporsi di fatto a figure maschili di inusitata forza e brutalità, ma invece di seguire l'esempio dell'indomita Santuzza, si lasciano sopraffare annullando la propria identità. Allora per loro, ineluttabile, arriva la malattia, quella che deturpa e mutila i seni; un'affezione dell'anima che finisce con l'invadere il corpo, tanto che, non a caso, quasi tutti i personaggi femminili del racconto, si ammalano e attorno al seno, simbolo per eccellenza della femminilità, si dipanano le vicende dell'intero romanzo. Nella seconda parte della storia, "Comu finisci si conta" (lett. Come va a finire), gli echi del passato ormai sopiti, lasciano il posto al ritratto di una donna volitiva incapace di accettare costrizioni. La diciottenne Agatina, contro il volere della madre, abbandona la Sicilia, per dedicarsi agli studi di medicina. Dopo alcuni anni farà ritorno nella sua terra d'origine, dove una relazione tormentata e trasgressiva con un uomo sposato, la condurrà nel baratro della depressione. Per Santino, disperatamente e scandalosamente amato, Agatina mette da parte e dimentica i preziosi insegnamenti di nonna Agata. Abbandona il lavoro, le amicizie, annulla le proprie aspirazioni e cosa ancora più grave, trascura la Santuzza venendo meno all'impegno di preparare le portentose cassatelle. Forse è per questo che, senza la speciale protezione di sant'Agata, il male attacca le sue "minne", che a seguito di un intervento chirurgico diventano dispari. La salvezza arriva improvvisa in un "pomeriggio caldo, silenzioso, di attesa". Mentre fruga tra libri e quaderni, repentinamente compare un foglio con su scritta la ricetta di nonna Agata. E' lei ancora una volta a indicare la direzione da seguire. Di colpo prende forma un'idea: aprire un piccolo forno dove impastare pane, dolci e biscotti e soprattutto dove preparare ogni giorno le "minne di sant'Agata", accompagnate da tanti "pizzini" colorati con i proverbi ed i consigli della nonna. Ora finalmente Agatina ha ritrovato se stessa e soprattutto la ricetta di una nuova esistenza: "Non si tratta di un superpotere esclusivamente suo, è piuttosto una speciale resistenza di cui sono dotate le donne, anche se qualche volta non ne sono consapevoli. Sono loro che possiedono il segreto della vita, che tessono pazientemente giorno dopo giorno la storia delle loro famiglie e poi la raccontano agli altri perché ne facciano tesoro".

[...] La nonna, catanese di nascita, dopo il matrimonio con mio nonno Sebastiano aveva lasciato Belpasso, il paese in cui era cresciuta, per trasferirsi a Palermo, dove nacquero tutti i suoi figli. Aveva portato con sé poche cose, tra cui una profonda fede cristiana nel cuore, una grande devozione per sant'Agata nell'anima e nel naso l'odore del pane fresco, dei biscotti dorati che venivano confezionati nel forno della sua famiglia. [...] Fu proprio grazie alla devozione di mia nonna che il cinque febbraio di ogni anno la famiglia Badalamenti si riuniva per celebrare l'onomastico delle sue Agata con un pranzo in grande stile, che si concludeva con i dolci votivi - le minne di sant'Agata per l'appunto -, fatti a mano da lei personalmente, per grazia ricevuta o da ricevere. La nonna, di cui porto il nome, aveva stabilito che io l'aiutassi in cucina nella delicata preparazione dei dolcetti e mi designò custode ufficiale della ricetta e sua unica erede. Nella famiglia Badalamenti l'eredità veniva trasmessa ai discendenti secondo il diritto di maggiorasco; il patrimonio, cioè, andava al primo figlio maschio, che aveva l'obbligo di conservarlo, custodirlo e passarlo integro al proprio discendente. Nonostante tale diritto fosse stato abolito dopo l'unità d'Italia, nella nostra famiglia, come del resto in tutto il meridione, era rimasta la consuetudine di privilegiare il figlio maggiore, riconoscendo alle femmine una dote in danaro che aveva la funzione di prevenire faide annose e violente. La nonna, femminista a modo suo, volle lasciare a me il bene di famiglia più prezioso, la ricetta delle minne di sant'Agata. Nella cucina in penombra si svolgeva il sacro rito della preparazione dei dolci, dal quale erano esclusi gli altri parenti che, incapaci di una fede genuina, avrebbero vanificato il sacrificio della nonna e indispettito la Santuzza, la quale avrebbe potuto anche ritirare la sua benevola protezione. Mi lavavo le mani con cura particolare, la stessa che anni dopo avrei usato prima di assistere ai parti, in ospedale. Davanti al tavolo di marmo maneggiavo pastafrolla e crema di ricotta con dedizione e serietà. Un po' per intrattenermi, un po' per istruirmi, un po' per contagiarmi con la sua fede religiosa ingenua, sincera, appassionata, mia nonna mi raccontava la vita della Santuzza, così come lei la conosceva. [...] Il racconto lasciava nell'aria odore di santità e ricotta. Sul tavolo della cucina tanti dolcetti tondi, vicini a due a due, la ciliegia rossa al centro a imitare il provocante capezzolo. La fede e la devozione di mia nonna erano riposte in quelle cassatelle, l'irrinunciabile rito della tradizione della famiglia Badalamenti. Prima di andare via le contavo e ricontavo: una, due, tre, dieci, venti, trentadue, erano sempre in numero pari, due per ogni nostra parente che, grazie a loro, avrebbe potuto godere della protezione di sant'Agata per tutto l'anno. [...]

(I brani riportati in corsivo sono tratti da Giuseppina Torregrossa, Il conto delle minne, Milano, Mondadori, 2009)


Minne di sant'Agata (ricetta per otto cassatine)
Pastafrolla: Farina di tipo 00, 600 grammi; Strutto, 120 grammi; Zucchero a velo, 150 grammi; Aroma di vaniglia; Uova, 2.
Tagliare lo strutto a dadini e lavorarlo tra le dita insieme con la farina. Quando i due ingredienti saranno ben amalgamati aggiungere lo zucchero a velo, incorporare le uova e la vaniglia. Impastare velocemente. Quando il composto avrà una consistenza soffice ed elastica, da poterci affondare le dita come in un seno voluttuoso, coprire con una mappina e lasciar riposare.
Glassa: Zucchero a velo, 350 grammi; Succo di limone, 2 cucchiai; Albumi, 2.
Montare parzialmente gli albumi con un pizzico di sale. Aggiungere lo zucchero, il succo di limone e continuare a mescolare fino a ottenere una crema bianca, lucida, spumosa.
Ripieno: Ricotta di pecora, 500 grammi; Canditi (di zucca, cedro e arancia), 100 grammi; Scaglie di cioccolato fondente, 100 grammi; Zucchero, 80 grammi.
Lavorare la ricotta e lo zucchero fino a farne una crema liscia, senza grumi. Unire i canditi e il cioccolato. Lasciare riposare in frigorifero per un'ora circa.
Preparazione: Imburrare e infarinare stampini rotondi, perché il dolce abbia la forma di un seno. Stendere la pastafrolla in uno strato sottile. Foderare il fondo degli stampini, farcirli con la crema e chiuderli con dischi di pastafrolla. Capovolgerli sulla piastra unta e infarinata. Cuocere nel forno a 180 °C per 25-35 minuti. Sfornare e far freddare su una griglia. Estratta delicatamente ogni cassatina dal suo stampo, colarvi sopra la glassa, in modo uniforme perché tenderà a solidificare in poco tempo. Perché delle semplici cassatelle si trasformino come per magia in seni maliziosi, minne piene, decorare queste magnifiche, bianche, profumate rotondità con una ciliegina candita.