Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Arte

Duilio Cambellotti e i castelli romani nei ricordi della nipote Laura

Intervista a Laura Cambellotti

Minerva, Bozzetto, gesso

Apprendere con graditissima sorpresa che un artista di cui si ha la massima stima e che è sempre più apprezzato dalla critica e dagli storici dell'arte, ha operato in passato nel territorio in cui si è nati e cresciuti, può suscitare un senso d'orgoglio difficile da descrivere, ma facile da comprendere. Questo è quanto potrebbe accadere ad un abitante qualsiasi di Rocca Priora, di Colonna o di Marino, paesi nei quali l'artista Duilio Cambellotti (Roma 1876 - 1960), ha lasciato tracce evidenti e senz'altro meritevoli di maggiore attenzione.
Incisore, illustratore, cartellonista, decoratore, ceramista, pittore, scultore, designer, arredatore, architetto e scenografo: Cambellotti, ispirandosi al movimento delle Arts and Craft, considerava l'arte un bene comune, soprattutto delle fasce meno abbienti, e si espresse attraverso le più svariate tecniche artistiche, prediligendo quelle che consentivano una fruizione da parte di tutti.
Attraverso un'intervista alla nipote Laura, nata dall'unione di Adriano (primogenito di Cambellotti) e di Laura senior (anch'essa artista e figlia di Alessandro Marcucci, il migliore amico di Cambellotti), si coglie pertanto l'occasione per suscitare l'interesse e stimolare la curiosità di quanti vogliano approfondire la conoscenza di un grande uomo, oltre che di un grande artista, e conoscere il motivo che l'ha spinto ad operare anche nei nostri amati Castelli Romani.
L'intervista, si svolge nella veranda della casa di Lanuvio dove la signora Laura abita assieme al marito ed alla mamma Laura senior, che nonostante l'età avanzata realizza ancora dei bellissimi arazzi ad ago e li espone in tutto il mondo.

Signora Laura, come mai è venuta ad abitare a Lanuvio?
In realtà il nome di Lanuvio, era invalso nel gergo dei miei familiari e dei miei amici, perché legato ad un simpatico aneddoto, così quando un giorno con mio marito ci siamo trovati a passare di qua e in un cartello abbiamo letto "LANUVIO km 1", io gli ho detto: "senti, andiamoci!". Così siamo andati e in uno dei vicoli al centro storico c'era un'agenzia immobiliare che vendeva questa casa. Incaricata da mio marito di venirla a vedere il giorno seguente, sono tornata e vedendola me ne sono immediatamente innamorata, così ho detto a mio marito: "cambiamo casa!"... E in tre mesi abbiamo cambiato casa.

Pensavo fosse venuta ad abitare a Lanuvio, perché motivata da qualche racconto di suo nonno riguardo alle escursioni ai Castelli Romani fatte assieme ai suoi amici agli inizi del Novecento. A proposito, glie ne ha mai parlato?
Di Lanuvio assolutamente, non la conoscevo proprio, mi è piaciuto molto il paese però.
Di racconti sulle escursioni ai Castelli, nonno Cambellotti non me ne ha mai fatti, lui ci parlava di altre cose. Nonno Marcucci invece si. Con il secondo ho vissuto molto di più, essendoci in un certo senso divisi i nonni con mio fratello Marco, quindi ricordo i racconti che mi faceva delle gite bellissime fatte qua, per esempio di una storia, riportata anche su molti libri, di quando loro portavano gli alberi su al Tuscolo (per piantarli, n.d.a).

Se non sbaglio, c'è una fotografia che ritrae i suoi nonni anche su Monte Cavo insieme a Giacomo Balla (che nel 1904 sposò Elisa, sorella di Marcucci) ...
Si, su Monte Cavo, al Tuscolo o anche fin dove arrivavano a piedi, come facessero non lo so, avevano evidentemente altri muscoli...
...addirittura mia nonna (Maria Capobianco, moglie di Cambellotti, imparentata con Boccioni, n.d.a) mi raccontò di quando nonno l'aveva chiesta in moglie, e per mettere un "bollo" sul loro amore fecero una passeggiata dal centro di Roma fino ad Albano. Mi disse: "Noi camminavamo, camminavamo ed ad un certo punto siamo arrivati a Frattocchie ed abbiamo detto, bè arriviamo fino ad Albano!".
Sono arrivati ad Albano, ma lei me lo raccontava come se fosse la cosa più normale del mondo, tanto che pensavo fosse una visionaria, invece no, loro si facevano la passeggiata e probabilmente chiacchierando, chiacchierando, arrivavano, senza neanche accorgersene, fin là.
Nonno Sandro (Marcucci), mi raccontava anche di questi alberi, di come li piantavano e del perché li piantavano.

E qual era il motivo per il quale piantavano questi alberi?
Non credo che avessero uno spirito ecologico, di certo non come lo si intende oggi, era più una filosofia, un amore, una contestazione.
Erano tutto un gruppo di artisti e letterati che ha molto amato questo territorio, in cui c'era Balla, Cambellotti, Marcucci, Laforet, poi c'era anche qualcun altro ogni tanto, ma gli amici soliti erano sempre loro quattro. Facevano sempre queste gite meravigliose, nelle quali filosofeggiavano, facevano di tutto. In queste gite nonno Cambellotti portava sempre la macchina fotografica che da un lato detestava e dall'altro invece ne era innamorato, perché poteva riprendere delle "ombre"... cose che a volte non ha mai realizzato ma che evidentemente gli sono rimaste negli occhi.

Cosa l'ha spinta a concedere al Museo Civico Lanuvino, in via temporanea, le tre statuette realizzate da suo nonno raffiguranti la dea Minerva,?
In realtà queste statuette mi erano state chieste per una mostra dedicata alle varie divinità ed in questa occasione feci restaurare una delle tre, quella in gesso. La mostra però non fu più realizzata, così quando il direttore del Museo Civico Lanuvino (il dott. Luca Attenni, n.d.a) mi chiese di poterle esporre al museo, ne sono stata molto contenta perché - nonostante io adori le cose di mio nonno, (mi piacciono moltissimo), e quelle statuette le tenevo in casa... - credo che la roba non si debba tenere in "cassaforte": quindi, mi fa un piacere immenso che qualcun altro le possa vedere ed incuriosirsene.

C'è qualche aneddoto che ricorda in merito a queste o ad altre statuette realizzate da suo nonno?
Non ricordo precisamente se nonno Duilio o papà Adriano, uno dei due comunque, diceva sempre che bisognava andare in un museo dove c'erano esposte delle cose "a tutto tondo" ad occhi chiusi come i ciechi: "Bisogna toccare!", diceva.
Certo, mi rendo conto che è difficile a volte toccare in un museo, ma noi almeno a casa potevamo farlo. Infatti, se si toccano queste statuette raffiguranti la dea Minerva ad occhi chiusi, si sentono tutti i particolari del corpo, anche quelli che non si riescono a vedere come l'inguine o l'ombelico che a guardarli non ci sono, ma se si toccano si, allora ci sono. Io adoro queste statuette perché con le mani piano piano puoi sentire tutto, soprattutto quella in gesso (il bozzetto di quella in bronzo, nda) che non ho più toccato dopo il restauro.
Nonno mi regalò personalmente quella in cera rossa (uno dei passaggi per arrivare alla versione della Minerva in bronzo), mi disse: "ma se ti piace tanto portatela via!"....wow, ma che bambola per me che ero bambina! Era bellissima! L'ho sempre avuta in camera mia, almeno fino all'età di 15 anni (dopodiché cambiammo casa), ed io ne andavo profondamente orgogliosa perché essendo la prima versione in cera, aveva delle sgorbiatine di spatola (una spatola tutta seghettata) che nonostante lui avesse appianato in un secondo tempo per renderla liscia, si continuavano a sentire e questa cosa a me faceva impazzire, non per il fatto che stessi toccando un prodotto artistico, ma semplicemente per un fatto oggettivo.
Una fusione di questa statuetta invece, mi ricordo di averla sempre vista a casa di mia zia (Francina Marcucci sorella di Laura senior, n.d.a), però lì non la si poteva toccare, mentre quella a casa di nonno sì. La versione in cera la sto facendo restaurare, e se riesco a farla rimettere a posto, quella in gesso mi piacerebbe donarla al Museo Civico Lanuvino, per il resto, le altre (le due Minerve in bronzo tra cui quella seduta, n.d.a) fanno parte dell'archivio gestito da mio fratello Marco.

Si sa che suo nonno, oltre ad essere un artista, ha dedicato molto tempo anche all'insegnamento. Avendo insegnato sia ai bambini della città che ai piccoli contadini, si rese conto che i secondi, essendo privi di preconcetti culturali, lasciavano senz'altro più spazio alla creatività. Le è mai capitato di ricevere da suo nonno, quando era piccola, qualche insegnamento d'arte applicata, di estetica o di storia dell'arte?
Nonno non ci ha dato questo, ci ha dato altro... non ci ha dato la spinta verso la sua arte, perlomeno non a parole... ci insegnava le cose in silenzio. A volte lo confondo con papà Adriano perché lui ci ha trasmesso a parole quello che nonno c'ha trasmesso con l'esempio senza l'intenzione di volerlo fare però.
C'è un aneddoto che forse spiega meglio quanto ho appena detto: una volta quando pressappoco avevo quindici anni, io apprezzando un suo lavoro gli dissi che lo trovavo molto bello. Lui mi rispose che avevo ragione ed io gli diedi ironicamente del "modesto". A quel punto mi impartì una grande lezione di vita dicendomi che non si deve mai confondere la presunzione con la verità e qualora si ritenga di aver fatto un bel lavoro, un qualsiasi tipo di lavoro come uno scritto, un quadro, una musica o qualunque altra cosa, bisogna saperlo riconoscere a se stessi ed esserne contenti, altrimenti si pecca di falsa modestia nonché di orgoglio!
Oltre questo episodio non mi sembra di ricordarne altre in cui ho ricevuto lezioni da parte di nonno.

Ha mai visitato i luoghi dei Castelli Romani nei quali suo nonno ha lasciato le tracce del suo operato, come ad esempio la Scuola per i Contadini a Colle di Fuori (piccola frazione del Comune di Rocca Priora), costruita fra il 1912 ed il 1914?
Pensando alla scuola di Colle di Fuori mi viene da piangere....comunque sì, ci sono stata insieme alla dott.ssa Giovanna Alatri (membro onorario del Museo Storico della Didattica Mauro Laeng a Roma, n.d.a). Insieme siamo andate alla ricerca di ciò che rimaneva delle cose realizzate da nonno per le scuole, tra cui anche quella di Colle di Fuori, ormai divenuta un rudere! Così abbiamo cercato di prendere il più possibile da ciò che era rimasto (abbandonato all'incuria delle amministrazioni locali in virtù della costruzione di una nuova scuola più grande, n.d.a). Siamo riuscite a portare via qualche pezzo (le grandi tavole dipinte da Cambellotti per adornare le aule della piccola scuola somigliante ad una chiesetta e le mattonelle dipinte ed invetriate per decorane il timpano esterno, n.d.a) per custodirlo nel museo. Quando penso a questa scuola mi commuovo sempre, perché quella di Colle di Fuori fu la prima scuola in muratura costruita per i contadini dell'Agro Romano e Pontino e per la quale nonno realizzò anche una piccola campana che a me piace definire la prima "Campana Laica". Prima di allora, i miei nonni, assieme ai loro amici e agli altri maestri, la Domenica andavano nelle campagne con una campanella (per avvertire i contadini che iniziavano le lezioni, n.d.a). Non avendo ancora degli spazi adatti, le lezioni si svolgevano all'aperto con l'ausilio di una "carretta", ideata da nonno Marcucci ma realizzata assieme a nonno Cambellotti dal quale era inseparabile. L'idea che da questa carretta, consistente in un enorme baule, vi uscisse fuori tutto (una cattedra, una lavagna e tutto il resto dell'occorrente per sostenere una lezione, n.d.a), è veramente incredibile! Anche quando penso alla campanella laica realizzata da nonno Cambellotti (per annunciare l'inizio delle lezioni ai piccoli contadini di Colle di Fuori, n.d.a), mi si stringe un nodo in gola... e ricordo che in seguito, in occasione dell'inaugurazione della nuova scuola, credo ci fosse ancora il campanaro che suonò la campana la prima volta, ormai divenuto molto vecchio. Mi commuove il forte significato simbolico legato a questa campana perché solitamente si trova nelle chiese non nelle scuole, e poi perché, tra l'altro, l'ha realizzata mio nonno, insomma io la trovo fantastica!
Insieme a Giovanna (Alatri), siamo andate alla ricerca di tutto quello che poteva essere rimasto anche in altre scuole realizzate dai miei nonni, tra cui quella di Torre Spaccata. Ho delle fotografie che mi ritraggono da piccola assieme a nonno e nonna Marcucci di fronte a questa scuola di cui purtroppo non è rimasto più niente. Dopo la guerra, nonno Sandro l'abbondonò perché ci fu una tremenda razzia. Credo si tratti di uno dei pochissimi casi in cui i tedeschi, solitamente molto rispettosi nei confronti delle cose artistiche, fecero man bassa bruciando tutto quello che c'era all'interno della scuola compreso il mobilio realizzato dai miei nonni. Nel caso di Torre Spaccata il mobilio era stato curato soprattutto da nonno Marcucci ed era molto bello, magari meno bello artisticamente rispetto a quello realizzato da nonno Cambellotti, ma più equilibrato come funzionalità. In quella scuola nonno Sandro aveva tutta una biblioteca della quale sono riuscita a salvare dieci volumi di Omar Roland non so neanche come, visto che la scuola, dopo la guerra fu occupata prima dagli sfollati e poi utilizzata di nuovo come una scuola (ma decisamente non curata), fin quando, ridotta quasi ad un rudere passò a mio cugino che l'ha venduta.
Nonno Marcucci in questa, come in tutte le altre scuole, aveva anche piantato degli alberi. Ogni scuola, per lui doveva avere sia degli alberi, sia l'orto, sia il giardino fatto dai bambini affinché imparassero ad amare un seme che col crescere diveniva una pianta. Che dovessero studiare o disegnare, questo era indubbio, ma tutti e due i miei nonni erano concordi nel far maturare nei bambini l'idea che l'albero crescesse e cambiasse come loro.

Ha mai avuto occasione di vedere, il Villino De Grossi a Marino, o la Chiesa Parrocchiale di San Nicola di Bari a Colonna, entrambe decorate da suo nonno Cambellotti?
A Marino non ci sono mai stata a vedere il villino, l'ho visto dai libri, più che altro sapevo che dopo la guerra è rimasto ben poco di quanto aveva realizzato nonno. Per curiosità però un giorno vorrei andarci, perché mi sono resa conto, soprattutto adesso in vecchiaia, che noi di famiglia non abbiamo mai avuto il "mito" di Cambellotti, era tutto scontato e penso che questo non sia affatto positivo. Ai miei figli ad esempio non ho mai trasmesso nulla riguardo il suo operato, sono stati loro da grandi ad andare alla ricerca delle cose che aveva realizzato.
Invece nella chiesa di Colonna si, ci sono stata, la trovo molto bella, l'hanno messa a posto poco tempo fa.

Leggendo alcune note autobiografiche di Cambellotti scritte in tarda età, si intuisce che aveva uno spirito goliardico e ne emerge al tempo stesso un'incredibile umanità. È così che si mostrava anche ai suoi familiari?
Se dovessi dire che era una persona allegra ad ottant'anni suonati, no, non lo direi, però posso dire che era una persona serena, non si arrabbiava mai.
Nonno, più che goliardico, posso dire che era buono. Si certo, da ragazzo lo era, considerando che andava, come ti raccontavo, a piantar gli alberi su al Tuscolo...
Insomma, mio nonno non era per niente "bacchettone". Ci raccontava le cose più buffe, più strane, di quelle cose che sapeva piacere tanto a noi bambini: le cose un po'... "zozze"! Questo ci faceva pensare: "Ecco, con nonno questo si può dire, si può fare!". Con l'altro nonno, Sandro, invece, tutto questo non si poteva fare assolutamente!

Cosa pensa di avere ereditato di più bello da suo nonno Cambellotti, a parte le opere d'arte?
Forse la pazienza. Prima di arrabbiarmi ci metto molto.
In questo mi trovo molto simile a nonno, perché anch'io, per esempio, quando il mio nipotino "gira" con la penna e fa un segno al muro non me la prendo granché... mi dispiacerebbe soltanto nel caso in cui lo facesse con dispetto.

Secondo lei, cosa si può fare oggi per valorizzare l'operato di Duilio Cambellotti nei Castelli Romani?
Oh tutto! Veramente tutto! In questo periodo in cui sto seguendo un pochino la politica di Lanuvio mi sono resa conto che c'è un'ignoranza spaventosa! Io rimango basita a volte, e mi viene da dire: "Si va bene, facciamo la Festa Delle Rose, ma che cos'è?". Le rose son belle, ma per tutto il resto intorno alle rose?
Si spendono denari per tante cose, ma poi c'è quel monumento (così ingenuamente tenero) dedicato ai caduti di Lanuvio che, pezzetto dopo pezzetto, hanno rotto tutto. Ed io mi chiedo come si faccia a dare delle cose ad un popolo così ignorante...
L'altro mio nonno, Marcucci, diceva che si deve educare il popolo aprendogli i giardini perché ne capisca la bellezza. Ma quando invece si verifica che tu gli dai una cosa bella ed il popolo compie uno scempio (come quello avvenuto al monumento dei caduti), significa che è necessario fare molta educazione!
Ponte Loreto, ad esempio, (un ponte di epoca romana rinvenuto presso Lanuvio, e trasformato in sito archeologico, n.d.a), dove ho portato ultimamente i miei nipoti più grandi, mi ha dato sempre una certa emozione... Ponte Loreto è obiettivamente bello, è una fortuna immensa per un paese avere una cosa così. Mi chiedo quindi come sia possibile lasciare che un posto così bello sia trasformato in un immondezzaio da quanti, andando a farci il picnic, lasciano piatti di plastica e altre zozzerie che nessuno si prende la briga di togliere..!
Ecco, secondo me, quello che bisognerebbe fare a Lanuvio e nei Castelli Romani in generale: dare un'enorme educazione!

Per la rubrica Arte - Numero 106 novembre 2011