Numerose sono le testate giornalistiche che nell'estate del '29 registrarono l'enorme successo di pubblico e vendite ottenuto dalla mostra "Cento vedute del Lago di Nemi". Era esposto un consistente nucleo di tele ed oli votato ad un soggetto particolare, un unico paesaggio eletto a tema esclusivo della raccolta, ripreso ed elaborato secondo diverse angolazioni, in differenti scorci, momenti del giorno e dell'anno proprio al fine di creare un complesso puzzle di cento parti che rendesse un'immagine dello "Specchio di Diana" in tutti i suoi molteplici aspetti. Mente e mano creatrice della raccolta era Carlo Montani, giornalista che da anni si dedicava con fervore alla causa del recupero delle navi di Caligola dal fondo lacustre, artista per diletto che in breve venne qualificato proprio con l'appellativo di "Pittore del Lago di Nemi". Con molta probabilità una simile operazione pittorica dava seguito ad una commissione ufficiale che, a lode ed onore del salvataggio delle navi imperiali giusto allora in corso d'opera, necessitava di documentare con una serie di dipinti il meraviglioso paesaggio circostante il lago. Nessun carisma sarebbe dunque parso più indicato all'impresa: convinto assertore della valorizzazione delle navi, Carlo Montani fu uno dei primi instancabili promotori del loro recupero in epoca di Regime, attraverso una serie di articoli giornalistici lanciati dalle testate a cui collaborava; l'interesse suscitato dalla causa fu tale che, grazie al sostegno dell'insigne archeologo e storico dell'arte Corrado Ricci, l'estrazione dei reperti dalle acque fu portata a termine tra il 1928 e il '32. Tra i membri preposti alla Commissione che dirigeva i lavori nondimeno sembra avesse trovato posto anche il devotissimo Montani. Simile passione per il Lago di Nemi era dunque tutt'altro che occasionale, come il successo delle cento vedute a Palazzo Valentini decisamente meritato; il giornalista Guido Marangoni quello stesso anno avrebbe celebrato Montani quale "poeta delicatissimo, innamorato da anni della sua fonte d'ispirazione, che ha glorificato ogni aspetto caratteristico del caratteristico lago", insistendo con particolare deferenza sul fatto che quasi tutte le opere esposte alla mostra fossero state vendute in tempi record. Ettore Petrolini, il governatore di Roma, il Re, alcune star del cinema, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna, i più importanti istituti bancari della Capitale: molteplici e spesso ormai difficilmente rintracciabili furono i collezionisti o i semplici amatori che di fatto si contesero una delle cento vedute del "Pittore del Lago di Nemi".
Carlo Montani (1868-1936), in realtà si considerava poco più di un pittore dilettante, per quanto fin dal 1910 fosse ufficialmente membro di quell'associazione di artisti che sotto il nome dei "XXV della Campagna Romana" aveva votato la propria passione alla pittura di paesaggi e borghi dell'Agro. In un lungo articolo scritto poco prima di morire, Montani ricorda come il gruppo intendesse "esplorare le recondite bellezze della Campagna Romana, per valorizzarle in senso dell'Arte, penetrandone l'anima con l'indistruttibile poesia del vero". Pertanto l'intera comitiva usava recarsi ogni domenica a caccia di soggetti ispiratori o angoli caratteristici disseminati nelle aree rurali limitrofe alla Capitale, per scovare scorci da ritrarre rigorosamente dal vero nella piena luce e realtà della natura. Culmine della sessione pittorica settimanale era ovviamente il banchetto plenario, momento di condivisione così importante che rimasero esclusi dagli studi pittorici dei XXV "angoli deliziosi della campagna nostra, unicamente perché i paraggi erano sprovvisti di un'osteria". Imprescindibile nell'opera dei XXV era stata fin da subito la necessità di abolire il colore nero dalla tavolozza e dalla cromia delle tele; persino le ombre e le tonalità scure avrebbero dovuto essere colorate, proprio per raggiungere la veridicità del reale: "fu cantato in coro l'elogio funebre del nero d'avorio, destinando l'aggettivo di negromante quale titolo d'infamia al gregario che si dimostrasse sordo alle vibrazioni della luce". Allo stesso tempo tuttavia, sarebbe stata perseguitata qualsiasi pedantesca e meticolosa fedeltà al vero intesa come ricerca del minuzioso o del banale, del gusto o del vuoto tecnicismo: piuttosto non doveva essere mai smarrito il senso della sintesi, "sempre animato dal necessario sentimento del soggetto". Montani dunque possedeva una solida base teorica e tecnica, fondata sulla ricerca dal vero e lontana da ogni accademismo; anzi, lungo tutta la sua carriera artistica avrebbe sempre preferito dipingere all'aperto nel timore che le sue opere venissero considerate quali nature morte. Prediligeva vedute di campagna, giardini, pergolati, le anse del Tevere e le quinte di fiori, specie se di campo; iconografia ricorrente nelle sue vedute erano cespugli di ortensie viola, rosa o azzurre, comunque sempre laccate e poste per lo più in primo piano quale autografia d'artista. Sua vera passione e soggetto per eccellenza era ovviamente il Lago di Nemi, con l'ampio respiro del catino, il cielo ingombro di nuvole, i riflessi cupi delle anse sullo specchio d'acqua.
Nelle cento vedute presentate a Palazzo Valentini gli ingredienti stilistici e poetici della pittura di Montani dovevano dunque essere ben amalgamati: l'età non più giovane e i problemi di salute di fatto non lo avevano mai distratto dal suo soggetto; in quasi due anni si era avventurato innumerevoli volte sulle pendici del bacino lacustre per costeggiarle attentamente alla ricerca di scorci e angoli suggestivi. Ancora i giornali dell'epoca descrivono l'esposizione come un vortice di tonalità azzurre, violacee e cobalto, una coloritura che nella mano di Montani era diventata cangiante e mutevole a seconda dell'ora del giorno o della stagione ritratta, a seconda della prospettiva o del taglio di luce adottato, a seconda dell'ansa prescelta di tempo in tempo per la seduta pittorica: "qualche volta nella serena armonia dei verdi e degli azzurri fa capolino la massa oscura dei paesi eretti come sentinelle sui culmini circostanti. Nemi, colla sua tonda torre orsina dominante il dedalo di viuzze popolose; Genzano erta sulle rupi offrente dalle Piagge la linea orgogliosa del suo Palazzo monumentale sulla visione suggestiva del Tempio e dello Specchio di Diana".
MALTA, NATIONAL MUSEUM OF FINE ARTS, LA VALLETTA.
Sulla parete di fronte alla porta d'accesso, nella Sala 21, una breve didascalia descrive genericamente quale "Paesaggio con fiume" una veduta di Carlo Montani che in realtà ritrae uno degli scorci naturali più caratteristici del Lago di Nemi. Esposto in una piccola stanza dedicata ai pittori del Novecento, il quadretto ad olio di Montani (20 x 25,2 cm senza cornice) sembra avere origine e provenienza per lo più ignota: lo stesso inventario del Museo ne registra la presenza nella Collezione di Riserva solamente dal 1992, con conseguente trasferimento nel percorso espositivo in data 21/02/2003.
La sua storia precedente rimane oscura, di conseguenza altrettanto imponderabile la corretta attribuzione del soggetto a quanti non usi al paesaggio lacustre dei Castelli Romani. Con molta probabilità il giorno in cui realizzò l'opera Montani aveva deciso di piantare il suo cavalletto nella spianata in fondo ai sentieri che conducono al lago, o ancora lungo la via che costeggia i campi coltivati: la veduta infatti descrive il paese di Genzano così come si presenta tutt'ora dalla costa afferente a Nemi, con il culmine del colle occupato dallo stesso Palazzo monumentale descritto negli articoli giornalistici; da lì muove il sentiero delle Piagge tra il verde e le rupi terrose, che costeggia l'ansa del bacino fino a raggiungere il paese prospiciente, Nemi appunto. La seduta pittorica inoltre sarebbe avvenuta in una mattina limpida di primavera, vista la precisa direzione della luce che inferisce gli oggetti più o meno da est.
Se è evidente che l'opera rappresenta uno degli scorci del Lago di Nemi, in linea con l'intento di registrarne le diverse angolazioni in diversi ambienti luminosi, sarebbe verosimile ipotizzare la sua originale provenienza da quella esposizione tenuta a Palazzo Valentini nel 1929.
La stessa coloritura della veduta è perfettamente in linea con le sfumature azzurre, violacee e cobalto che intonavano l'intera sezione pittorica, mentre in primo piano la quinta di ortensie viola ricorre quale iconografia anche in altre tele presentate all'occasione. Nondimeno, giusto negli anni tra il 1922 e il '37, alla direzione dell'allora Museo Nazionale di Malta era il lungimirante Cavalier Vincenzo Bonello, tutt'oggi ricordato per la sua fervidissima campagna di acquisti di dipinti sui mercati internazionali, tra i quali l'Italia figurava al primo posto. Se l'ipotesi fosse avvalorabile sarebbe dunque possibile recuperare all'opera di Carlo Montani una delle cento vedute del Lago di Nemi delle quali si perse traccia in seguito alle vendite avvenute durante l'esposizione. Intanto, tuttavia, perché non iniziare con la modifica della didascalia maltese in "Veduta del Lago di Nemi con Genzano"?