Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Cibo per la mente

Venuto al mondo

Dopo 6 anni dalla pubblicazione del romanzo Non ti muovere, torna alla narrativa Margaret Mazzantini con "Venuto al mondo". Romanzo sospeso tra favola, cronaca, guerra, amore. E dove tutto è avvolto dal mistero, che lascia fino alla fine il lettore con il fiato sospeso. Ma la favola, raccontata dalla Mazzantini, è una favola amara, dura, con un finale ancora da raccontare.
La protagonista è Gemma, una donna inseguita per tutta la vita dal caso, dalla fatalità, dalla battaglia disperata, lacerante verso una maternità che non arriverà mai e dalla sofferenza nel sentirsi per se stessa e per gli altri solo "un ovulo cieco". Il suo nome Gemma è già presagio di beffa da parte del destino. Un destino che spesso caparbiamente sembra voler sfidare; in realtà tutta la sua vita è una sfida anche il suo amore per Diego, il geniale fotografo di "pozzanghere".
Alla guerra che la giovane-vecchia Gemma combatte per se stessa, per appagare il suo desiderio, fa da sfondo un'altra guerra questa volta però non personale ma collettiva: quella di Sarajevo, della ex Iugoslavia.
La storia inizia con una telefonata che la protagonista riceve da un suo vecchio amico, da Sarayevo appunto, città ormai per lei caratterizzata solo da ombre, da fantasmi, da un passato ormai alle spalle. Forse. Il vecchio amico chiede a Gemma di partire, di tornare indietro, di ritornare in quella città che tanto le ha dato, dove ha conosciuto l'amore, il suo fotografo di pozzanghere e tanto le ha tolto. E Gemma parte ma non sola, con il figlio Pietro, antipatico e riottoso adolescente romano, che malvolentieri l'accompagna, ma lei insiste, tenacemente perché desidera fargli conoscere quella città, la città dove è morto sedici anni prima suo padre e dove lui è nato.
La trama del romanzo è complessa, esso procede fra flash back di presente e passato. Fra Gemma che rincorre ospedali, analisi, ovoli in vitro, a cui fa da sfondo la guerra, quella vera ma lei non sembra accorgersene, non interessarle, Gemma non vede e non sente nulla, troppo ossessionata dalla sua ossessione, anzi tenta quasi di approfittarne attraverso il traffico illecito di uteri in affitto. E sempre insieme al suo compagno, il suo Diego.
Il romanzo della Mazzantini così ponderoso con le sue oltre 500 pagine non è un libro di morte come la presentazione può fare apparire bensì di speranza: è un libro che cammina verso la vita. Perché proprio la maternità alla fine è l'unica speranza, l'unica possibilità di riscatto. Ma è anche un romanzo che fa riflettere, riporta il lettore indietro nel tempo, ci ricorda la più folle mattanza dell'Europa contemporanea, ormai cosi lontana, dimenticata, quella di Sarajevo.
In alcuni parti del romanzo, in modo particolare quando Gemma rivive gli orrori della guerra, la Mazzantini si lascia travolgere, dalla furia delle emozioni e la sua penna incalza, la lingua eccede e diventa ricca di metafore. E forse in questi casi limitare questi suoi eccessi linguistici le gioverebbe.. Ma questo è anche garanzia per l'autrice di non far smettere il lettore di continuare, di arrivare in fondo.
La parte migliore del romanzo è senz'altro quella delle descrizioni della martoriata Sarajevo e dei suoi bambini feriti. C'è un'attenzione spiccata a ogni dettaglio con una folla di personaggi che fanno da coro, ognuno di loro protagonista anche se solo per caso. Il realismo della Mazzantini è feroce ma toccante, arriva fino al cuore. La conclusione della favola amara alla fine ci lascia sospesi, stupiti. Ma rimane la speranza, il seme della speranza anche quando parte dal fondo dei comportamenti più biechi, turpi, disperati dell'essere umano.
Il romanzo, così elaborato, complesso, con la sua scrittura e il suo linguaggio rende onore al dilagante e improprio uso della narrativa, all'arte dello scrivere.

Per la rubrica Cibo per la mente - Numero 86 novembre 2009