Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Cibo per la mente

Sono stato un numero: Alberto Sed racconta

Parte della storia di Alberto Sed è comune a quella dei milioni di innocenti deportati e sterminati nei lager nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma con una differenza fondamentale: a lui, fortunatamente, la sorte ha offerto un'ulteriore possibilità, quella di salvarsi e testimoniare per quanti non hanno più voce. La sua avventura umana, narrata in prima persona, è stata raccolta e trasformata in un libro, grazie al fondamentale apporto di Roberto Riccardi, ufficiale superiore dei carabinieri e giornalista, che con sensibilità ed intensità straordinarie ha saputo restituirci una preziosa testimonianza sull'Olocausto. Il testo è la storia della sua esistenza, dalla nascita ai giorni nostri. Rimasto orfano del padre, Alberto viene inviato in collegio insieme alla sorella Angelica, presso l'istituto "Pitigliani", l'orfanotrofio ebraico di Roma. Studente modello e giovane promessa del calcio, con l'avvento delle leggi razziali del 1938 è costretto ad interrompere gli studi e nel gennaio del 1944 abbandona definitivamente la scuola. Pochi mesi dopo, il 16 ottobre del '43 i tedeschi fanno irruzione nel ghetto di Roma catturando più di mille persone. E' un numero destinato tragicamente ad aumentare grazie alle delazioni: in un'Italia in cui il sogno - cantato da Gilberto Mazzi - è rappresentato dalle famose "mille lire al mese", la vita di un uomo vale almeno cinque volte tanto. Inaspettatamente Alberto e la sua famiglia riescono a mettersi in salvo ma l'appuntamento con il destino è soltanto rinviato. Abbandonata l'abitazione di Via Sant'Angelo in Pescheria, a pochi passi dal Portico di Ottavia, si nascondono in un magazzino situato nella zona di Porta Pia. Ma "Se il male avesse una casa, potremmo sbarrarne le porte per non lasciarlo uscire. Vi metteremmo a guardia il più attento fra i custodi e staremmo ad osservarla, dall'esterno, con l'animo sereno. Se potessimo tenere il dolore rinchiuso in una scatola, la sua chiave non lascerebbe le nostre mani, e il tempo sarebbe una strada da percorrere senza timore, i pugni serrati e il viso fiero. Ma il male, il dolore, non hanno confini. Pensare di poterli circoscrivere è come progettare un recinto per l'oceano". Il 21 marzo del 1944 i tedeschi irrompono nel deposito e catturano tutti gli occupanti. La loro colpa è soltanto quella di essere ebrei. Dopo alcuni giorni trascorsi nel Convento di San Gregorio (nei pressi dell'Orto Botanico), verranno inviati dapprima al centro di raccolta di Fossoli (Modena) e quindi destinati ad Auschwitz. Alberto, giudicato abile al lavoro, viene trasferito nel campo della morte di Birkenau insieme alle sorelle Angelica e Fatina, mentre per la madre e per la sorella Emma di otto anni, il giorno di arrivo coincide con la selezione per la camera a gas. Così a soli quindici anni, Alberto Sed perde la propria identità e la propria dignità di uomo - poiché il lager è la negazione di qualsiasi diritto - e si trasforma in un numero: A - 5491. E mentre prende coscienza della propria condizione, oltre al dolore, alla fame, alla fatica, allo sgomento, lo tormentano mille interrogativi senza risposta. L'incapacità di comprendere il male è un concetto ribadito in più punti del testo, ma in questa testimonianza sobria ed equanime, non affiora mai alcuna forma di esecrazione nei confronti dei persecutori. Il protagonista è sopravvissuto superando innumerevoli avversità: ha saputo resistere alle condizioni estreme del campo, alle selezioni, alla disperazione per la sorte dei suoi famigliari, alle marce della morte e persino ad un terribile bombardamento. E sebbene abbia visto ciò che nessuna parola potrà mai descrivere e conosciuto l'inferno su questa terra, nel suo doloroso peregrinare ha incontrato anche chi, mettendo a rischio la propria vita, ha saputo opporsi con determinazione al male. Lo ha fatto il medico francese che l'ha operato di appendicite e l'ha nascosto salvandolo dalla selezione, l'ha fatto Giovanni Serini che l'ha amorevolmente assistito nel campo di Dora, lo ha fatto il tenente della marina che l'ha messo in salvo, sotto l'elica di un mezzo, durante un attacco alleato. E come non menzionare poi, l'episodio del toccante incontro con il militare Tasca di Frascati. Il soldato, privo di un braccio a causa delle ferite riportate durante il conflitto contro gli inglesi, a causa della sua menomazione, era stato impiegato come guardiano delle latrine. Quando incontra Alberto, un ragazzino di quindici anni disorientato e impaurito, non può fare a meno di aiutarlo, di proteggerlo nell'unico modo possibile. Con estrema e disinteressata generosità gli impartisce così l'insegnamento dei "Dieci comandamenti del Lager", una lezione grazie alla quale Alberto apprende i segreti per sfuggire alle selezioni, procurarsi il cibo, evitare le punizioni, parole che rimarranno scolpite per sempre nella sua memoria e che gli permetteranno di sopravvivere. Tasca, che in qualità di ferito di guerra ha diritto ad una razione di cibo più abbondante, divide con lui il proprio pane e lo aiuta durante tutta la permanenza al campo, ma soprattutto gli dona qualcosa che non ha prezzo: l'amicizia. A distanza di sessantacinque anni da quei fatti, Alberto Sed è ancora vivo. Per lungo tempo non ha mai voluto parlare della sua terribile esperienza, poi un giorno "finalmente le parole sono arrivate, sgorgando dal profondo, come fossero lì da sempre, in attesa". Alberto Sed ha deciso di raccontarsi, di offrire la propria testimonianza come monito e insegnamento per le nuove generazioni.

 


Roberto Riccardi (a cura di)
Sono stato un numero: Alberto Sed racconta
Firenze, Giuntina, 2009

Per la rubrica Cibo per la mente - Numero 83 luglio 2009