Sulla insensatezza di una tragedia che forse non si sarebbe manifestata con tanta veemenza e brutalità, se solo si fosse agito nel rispetto delle regole e del buon senso, si è scritto e detto molto, a partire dalla notte tra domenica 5 e lunedì 6 aprile. Il terremoto che ha colpito l'Abruzzo, ha reso visibile lo stato di precarietà del patrimonio edilizio, in generale, e di quello storico-artistico, in particolare.
I tecnici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, incrociando le aree dove è maggiore la possibilità che si verifichino eventi sismici con la densità culturale di un luogo, hanno stimato che circa 250mila edifici su un totale di mezzo milione si trovano in una zona a rischio sismico. Di questi solo alcuni possono vantare una scheda di valutazione di tale rischio, con la concreta probabilità che il termine per la conclusione della ricognizione del patrimonio culturale e del tipo di interventi da effettuare - previsto dalla Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 ottobre 2007, per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale -, fissato al 31 dicembre 2010 sarà ulteriormente prorogato.
Nel frattempo l'Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro (ICR) annuncia la catalogazione di 2mila monumenti a rischio in Sicilia e di 1206 beni in stato di allerta, localizzati nelle tre province calabre di Catanzaro, Reggio Calabria e Vibo Valentia.
La "Carta del rischio" è un progetto intrapreso dall'ICR nel 1992, per fornire ai responsabili della tutela del territorio e all'amministrazione centrale uno strumento per l'individuazione delle priorità d'intervento, per la programmazione degli interventi di tutela e di conservazione, e per la pianificazione urbanistica. La Carta del rischio adotta una suddivisione schematica dei beni in tre diverse categorie - palazzi e ville, torri e campanili, chiese -, a cui corrisponde un determinato colore a seconda della classe di rischio d'appartenenza: rosso per un rischio alto, arancione per uno medio, giallo per uno medio-basso, verde per un rischio basso.
Il progetto, nato da un'idea di Giovanni Urbani, sulla base dei contenuti metodologici sviluppati con "Il Piano Pilota per la Conservazione programmata dei Beni Culturali in Umbria" (1975) - il primo esperimento di valutazione globale dei fattori di degrado esteso ad un intero territorio, la cui validità fu drammaticamente confermata in occasione dei terremoti del Friuli (1976), e dell'Irpinia (1980) -, prevede la registrazione, la georeferenziazione e la stesura di una scheda tecnica sulla vulnerabilità sismica dei beni architettonici a rischio, diffusi su tutto il territorio nazionale. Oggi di 100.258 edifici presenti nella banca dati della Carta del rischio, solo 8.388 sono dotati di una scheda tecnica, mettendo in evidenza i limiti e le problematicità connessi a questo tipo di iniziative.
Un tema, quanto mai attuale, che verrà affrontato giovedì 16 aprile presso la sede dell'Ordine degli architetti di Roma, in una tavola rotonda dal titolo "Rischio sismico e patrimonio culturale", che potrebbe giungere a risultati concreti in tempi brevi se tutti i dati di cui si dispone - dai cinque milioni di schede, conservate presso l'ICR, ai beni censiti dalla Conferenza episcopale italiana, dai dati dei 3mila comuni interessati dalle verifiche predisposte dalla Direzione generale per i beni architettonici e storico-artistici in collaborazione con la Protezione Civile, alle 1.080 schede tecniche di proprietà del Ministero dei Beni culturali -, confluissero in un unico, grande archivio votato più alla prevenzione, che alla ricostruzione.
La “Carta del rischio” del patrimonio culturale
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Tafter
- Numero 81 maggio 2009