RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Archeologia

La catacomba “ad Decimum”

Denominazione
Sull'odierna via Anagnina, poco prima di giungere nello splendido centro di Grottaferrata, non sono molti i visitatori che notano il discreto richiamo alla storia delle prime comunità cristiane della zona castellana, offerto dalla tabella apposta al piccolo ingresso del rigoglioso giardino, in cui si conserva l'accesso alla catacomba ad Decimum.
Il nome deriva dall'ubicazione: il complesso cimiteriale sotterraneo sorse infatti, teste un miliario dell'età di Massenzio rinvenuto nel XVIII secolo, all'altezza del X miglio della via Latina (il cui tracciato - dall'isola Tiberina alla Campania - era già segnato in età neolitica), cioè a circa 15 km dalla Porta Capena. Il cimitero era connesso ad una comunità, ugualmente nota per via epigrafica, che si autodefiniva "Comunità dei Decimiensi" ovvero "abitanti del vicus angusculanus". Il piccolo centro abitato, verisimilmente sorto intorno alla mansio (stazione di posta) attestata nella famosa Tabula Peutingeriana (carta topografica dell'impero), fu reso prospero dalla frequentazione della via Latina e del tratturo, che provenendo dall'Alta Valle dell'Aniene, traversava la via Latina e conduceva le greggi al mare. Agli abitanti del villaggio, che utilizzarono il sepolcreto cristiano per circa due secoli (dal III al V d.C.), si deve aggiungere il personale delle ricche ville tuscolane, che, come indicano le epigrafi apposte sulle lastre sepolcrali, venne sepolto in questo cimitero.

Storia della scoperta
Si tratta di una piccola catacomba con un numero complessivo di circa 1000 inumazioni, scoperta agli inizi del secolo scorso a seguito dei lavori di scasso nella vigna sovrastante, che portarono alla luce l'ingresso del cimitero. Fatta eccezione per le prime tombe nei pressi dell'accesso, ai lati e ai piedi della scala, saccheggiate per la bramosia dei vignaioli alla ricerca del "tesoro", l'eccezionalità di questa catacomba è determinata proprio dal suo notevole stato di conservazione, essendo la maggior parte dei loculi ancora chiusi ed integri. L'acquisto del terreno da parte dei Monaci dell'Abbazia di Grottaferrata fermò le devastazioni e permise di effettuare, nel secondo decennio del Novecento, scavi sistematici sotto la guida di Padre Sisto Scaglia e dell'archeologo Iosi, cui presero parte soprattutto prigionieri di guerra austriaci.

Sviluppo topografico, tipologia delle tombe, raffigurazioni pittoriche
Scendendo dalla ripida scala per circa 9 metri (l'accesso attuale è, solo nei primi gradini, moderno) si ha immediatamente chiaro un andamento a raggiera delle gallerie scavate nel tufo, tutte di discreta altezza e con pochi rinforzi in muratura (rare le tracce di crolli, scongiurati grazie alla qualità del tufo). Quattro gallerie principali hanno, grossomodo, origine nella zona del pozzo, situato ai piedi della scalinata, preesistente al cimitero sotterraneo, che ne usufruì per le necessità idriche (per impastare la malta e per le cerimonie funebri), di aerazione ed illuminazione. Un quinto cunicolo interseca perpendicolarmente la galleria all'estrema destra. Numerosi diverticoli, che si dipartono dalle gallerie principali, portano a oltre duecentoventi metri l'estensione del percorso complessivo.
La galleria (C) che è in asse con lo scalone, è sicuramente la più antica ed è dunque da ascrivere ad un'epoca prossima alla metà del III secolo d.C.
Un secondo lucernario si apre all'incrocio della galleria "D" con i cunicoli perpendicolari "E-F", realizzati tra la fine del III e gli inizi del IV secolo. Questo lucernaio, utilizzato durante la costruzione per portare via i materiali di estrazione, era funzionale alla circolazione dell'aria, più che all'illuminazione, giungendo in questo punto pochissima luce. Sulle piccole mensole sporgenti dalle murature, ancora visibili, venivano poggiate le lucerne di terracotta, che, riempite con olio, servivano ad illuminare questi ambienti bui.
Le tombe più elaborate si trovano ai piedi dello scalone, nei tre cubicoli a destra: si tratta di tre ricche cappelle funerarie devastate dai vignaioli al tempo della scoperta. Il primo cubicolo è estremamente suggestivo poiché interamente ricoperto di pitture a tempera (colori naturali uniti a collante), le quali, seppur irrimediabilmente danneggiate dal tempo, permettono ancora all'immaginazione di scorrere su quelle poche linee rimaste, lasciando intravedere alcune tipiche raffigurazioni catacombali: l'Orante (personificazione della fede o dell'anima), l'Ultima Cena (gli Apostoli sono ridotti a sei per ragioni di spazio), il Buon Pastore, Daniele tra due leoni (simbolo della salvezza) e l'immagine della defunta con un velo bianco sul capo. Le pitture di questo cubicolo, in cui era la tomba di un sacerdote, come indicava un'epigrafe ora perduta, sono state datate alla seconda metà del IV secolo.
Il cubicolo attiguo conserva, fra le altre, due tombe orizzontali ricavate "a risparmio" e la lapide di un esorcista.
Il terzo cubicolo era di una famiglia certamente benestante e di spicco nella comunità. Conteneva diverse tombe, ma la distruzione operata dai vignaioli non ha permesso la conservazione di alcun documento epigrafico che potesse far luce sull'identità dei personaggi qui deposti. Al centro spicca, depauperata dei suoi rivestimenti marmorei, una tomba a baldacchino (in parte restaurata dopo un crollo), mentre il pavimento reca ancora tracce di un rivestimento in marmo di grande pregio, perduto a causa del primo scavo di rapina. Lo stesso sarcofago che era stato trovato nel cubicolo fu venduto subito dopo la scoperta.
La galleria più recente (A) del complesso sembra essere quella che si apre subito a sinistra dell'ultimo gradino della scala: siamo alla fine del IV o nella prima metà del V secolo d. C. Qui troviamo tombe a mensa, ad ara, a forno (tomba collettiva) e diversi arcosoli, tra i quali spicca quello attribuito ad un giovinetto, in cui vivaci pitture, oramai quasi del tutto illeggibili, mostrano raffigurazioni di traditio legis (consegna della Legge da parte di Cristo a S. Pietro), della fenice (uccello mitico simbolo di resurrezione), di A e W (lettere greche dell'Apocalisse), di colombe e vasi da cui sgorga l'acqua eterna. Si conserva anche l'immagine del giovane defunto, seduto e in atteggiamento di orante, tra due personaggi in piedi.

Documentazione epigrafica
La maggior parte delle tombe, come si è già sottolineato, è rimasta integra, conservando le lastre di chiusura, costituite prevalentemente da marmi di riutilizzo o da tegole, i cui bolli mostrano un campionario di grande interesse, rivelandone la provenienza da edifici del sopraterra. Le iscrizioni incise sulle lapidi testimoniano l'estrazione sociale piuttosto modesta della comunità sepolta in questo complesso catacombale, i cui membri non esitarono a prelevare dai monumenti circostanti, oramai in rovina, lastre, tegole, colonne e pilastri per garantirsi una tomba arricchita di marmi preziosi e lavorati.
Le numerose iscrizioni conservate parlano di uomini e donne di condizione servile, di liberti, prevalentemente grecofoni (di un personaggio è indicata anche l'origo: Cipro), che affidavano spesso a lapicidi inesperti o del tutto analfabeti il compito di incidere sulla pietra di chiusura del loculo frasi che risultano oggi al lettore sgrammaticate e dai molti errori. Le poche iscrizioni commissionate da personaggi istruiti sono quelle pertinenti alla sposa di un lettore ed esorcista e ad un diacono, entrambi esponenti del clero locale, cui si deve aggiungere l'epigrafe di un presbitero, giuntaci però estremamente lacunosa.
La visita ad un complesso monumentale così importante è, quindi, di grande interesse, grazie anche alla competente illustrazione dei luoghi da parte delle esperte guide del Gruppo Archeologico Laziale, al cui impegno volontario si deve l'apertura al pubblico della catacomba tuscolana.

Per la rubrica Archeologia - Numero 68 febbraio 2008
Maria Barbara Savo |
Per la rubrica Archeologia - Numero 68 febbraio 2008