Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Folklore

Praesepe

Se volessimo rappresentare la nascita di Cristo secondo il racconto pervenutoci da Luca, l'unico dei quattro Evangelisti che ne parla, il nostro Presepe sarebbe costituito da pochissimi elementi: Maria, Giuseppe, il Bambino, una mangiatoia (dal latino praesepe, is), un gruppo di pastori e una schiera di angeli.
La visita dei Magi è infatti narrata da Matteo, mentre l'esistenza della stalla (o grotta) non è provata storicamente e degli animali che assistettero all'evento si fa menzione solo successivamente, in un vangelo apocrifo del VII/VIII secolo.
E in effetti furono soprattutto i Vangeli apocrifi ad accogliere, alimentandola a loro volta, quella fervida immaginazione popolare che fin dagli albori del Cristianesimo, non contentandosi della scarna tradizione canonica, aveva diffuso il racconto della Natività arricchendolo di attributi leggendari.
La vigilia di Natale del 1223 San Francesco d'Assisi ideò una rappresentazione vivente della nascita di Gesù. A quella manifestazione presepiale assistette un gran numero di persone provenienti da tutta la regione di Greccio, e forse è proprio a seguito di quell'avvenimento che il Presepe (riproposto da allora soprattutto in forma plastica) cominciò ad ospitare nei suoi allestimenti non solo le figure fondamentali, che ovviamente testimoniano soprattutto una indiscussa appartenenza cristiana, ma anche una serie ricchissima di elementi che dello scenario complessivo sono parte attiva, attori più che spettatori di un mondo che si rivela un vero microcosmo, in cui confluiscono la storia, la religione, le tradizioni popolari, l'arte, i miti e i simboli collettivi, della cristianità e non solo.
Con la sua numerosa e variegata umanità, e le innumerevoli, spesso spiccatamente artistiche componenti scenografiche, sembra che il Presepe, oltre ad assolvere a una funzione prettamente religiosa e ad essere la più amata e diffusa rappresentazione sacra, costituisca nel suo insieme un luogo della memoria collettiva ma anche un territorio da esplorare individualmente.
Alla luce delle riflessioni contemporanee di carattere antropologico, religioso, semiologico, artistico, il Presepe tradizionale, con personaggi e luoghi fissi, diventa quindi anche zona di attraversamento, terreno di prove, spazio misterico, che se religiosamente si traduce in un percorso spirituale che conduce dal paganesimo alla cristianità, da un punto di vista più generale indica un passaggio di condizione, un mutamento, simboleggiato dal viaggio.
E sebbene nel nostro caso l'esito di questo sia già noto e visivamente si manifesti con tutta la sua carica positiva attraverso la luce che in piena notte risplende nel luogo della ri-nascita, tuttavia il percorso non è lineare e lungo il tragitto non solo le stesse componenti apparentemente innocue o ininfluenti possono presentarsi in forma ambivalente, ma spesso ci si imbatte in situazioni oscure, in personaggi ambigui, cammini tortuosi.
Proviamo allora a incontrarne qualcuno, di questi elementi: figure, paesaggi e personaggi della quotidianità che tuttavia, inseriti nel contesto presepiale, oltre a comprendere una complessa simbologia cristiana, presentano anche aspetti e significati precedenti o provenienti da altre culture o rielaborati dalle nostre stesse culture regionali, in un gioco altalenante di luce e oscurità, bene e male, giorno e notte, vita e morte.
Prendiamo ad esempio i luoghi tradizionali che contemplano l'elemento acqua, la cui presenza nei presepi, quando non vera, viene simulata con artifici.
La fontana ha un significato prevalentemente positivo, di vita, speranza, ringiovanimento continuo. La sua è un'acqua sorgiva, pura, prodigiosa. Secondo alcuni vangeli apocrifi fu proprio presso una fontana che Maria venne informata dall'arcangelo Gabriele del proprio destino di madre divina, mentre nelle fiabe e nelle leggende è spesso citata come privilegiato luogo di incontro per giovani innamorati.
Il fiume invece presenta un carattere più ambivalente. Le sue acque rimandano alla purificazione e alla rigenerazione ma indicano anche l'incessante, drammatico fluire del tempo, o la violenza incontrollabile della natura.
Più cupa è la simbologia legata al pozzo, luogo sacro in tutte le tradizioni.
Elemento di congiunzione tra la superficie terrestre e le acque abissali degli inferi, dove albergano spiriti diabolici, è spesso teatro di eventi tragici.
La sua insondabilità intimorisce, l'eco cavernosa che proviene dalla sua profondità inquieta, i segreti che custodisce appartengono al silenzio cosmico, e chi lo viola "viene punito con terribili malefici". E' per questo che molte leggende proibiscono l'utilizzo del pozzo la notte di Natale, perché "ritenuta, per l'eternità, riservata alla Nascita del Figlio di Dio", al mistero dell'incarnazione.
Ma il pozzo è anche simbolo della conoscenza, della saggezza contemplativa, o il luogo che può esaudire i desideri più importanti. E' il pozzo di Giacobbe, dove Gesù incontrò la Samaritana, o quell'elemento di protezione legato al culto mariano, che nell'Italia meridionale si esprime con la presenza di molte chiese dedicate alla Madonna del Pozzo.
E poi la taverna, il mulino, il ponte, la zingara, l'arrotino o la stella, emblematici di quella dualità in cui si snoda il cammino verso la grotta, simbolo femminile per eccellenza, ventre materno, luogo di generazione e formazione.
Dopo questo breve percorso qualcuno potrebbe obiettare che tutti quei personaggi (e relative ambientazioni) che solo nel tempo sono entrati a far parte della rappresentazione sacra, nonostante la vasta superficie occupata, più che essere partecipi dell'evento sembrano svolgere una funzione meramente decorativa, anche sviante rispetto ai contenuti spirituali del Presepe. La loro attenzione infatti si percepisce altrove, intenta alle attività materiali, nella taverna o presso il mulino, nel forno o ai bordi del torrente.
Secondo alcuni studiosi tale condizione di estraneità rimanderebbe ai primi Vangeli, nei quali erano ben riconoscibili i destinatari originari del messaggio cristiano: i poveri e gli indifesi, rappresentati dai pastori, colti nell'immediatezza della semplicità e della contemplazione, e i saggi, personificati dai Magi, che attraverso la ricerca raggiungono la sapienza soprannaturale.
Tutti gli altri, mercanti, faccendieri e falsi dotti, sembrano esserne esclusi, e li vediamo indifferenti, diffidenti, ostili.
Tuttavia, anche se non chiamati direttamente, attraverso l'inventiva popolare o quella degli artisti essi si impongono, con una presenza che sembra sospesa, come se tra l'umiltà dei poveri e quella dei sapienti ci fosse un universo umano ancora in attesa...

Per la rubrica Folklore - Numero 67 dicembre 2007