Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Sagre & Profane

La cultura dei saperi

Reficiare nei Castelli Romani

Con questa parola un po' antica e fuori corso, che uso volutamente per evitare altri termini ricorrenti, come "cucina" e "gastronomia", vi introdurrò agli aspetti culinari e mangerecci propri dei Castelli Romani. Escluse le ricette, messi da parte i trattati di cucina, vi intratterrò piuttosto, come a me risulta più congeniale, sui vari aspetti della tavola connessi all'evoluzione storica e sociale dei Castelli Romani, compiendo anche qualche escursione nei territori della poesia e della letteratura, sia della lingua, che del vernacolo.
Non si tratterà di fisiologia del gusto, né di mitologia, o di filosofia del mangiare alla maniera di Brillat-Savarin. Onorati parlerà essenzialmente dei Castelli Romani, delle peculiarità alimentari e della tipicità di alcuni piatti locali a partire dai prodotti che più caratterizzavano ciascuna comunità fino alla fine dell'Ottocento sul mercato romano di piazza Navona. Secondo quanto rammentava Gigi Zanazzo nel suo studio delle tradizioni popolari di Roma e dintorni, per cui i Marinesi erano detti "Cipollari", "Broccolari" gli Albanesi, "Fungaroli" i Rocchegiani e così via, sulla scorta di quello che in prevalenza i castellani offrivano ai popolani Quiriti sui banchi di frutta e verdura. Collegato a questo aspetto della produzione c'è poi quello più propriamente antropologico della festa, dei momenti rituali di passaggio propri della civiltà contadina - ora scomparsa - che esulta per l'abbondanza del raccolto e lo riassume nello stato di felicitazione collettiva e di congratulazione religiosa.
Dalla festa di popolo alla festa popolare il passo è breve e ci corre la stessa distanza fra il prima e il dopo la rivoluzione industriale, fra la cultura contadina e quella cittadina. Un po' come accade per la canzone blues, con la sua linea "calda" tutta spontanea e quella "fredda" che è riflessa, anche la canzone popolare si può distinguere tra quella prodotta da una comunità per la comunità e quella prodotta per il popolo. Allo stesso modo accadde nei Castelli Romani nella prima metà del Novecento per le tradizioni popolari, rinvigorite, recuperate e fissate nell'immaginario collettivo in funzione del turista, del romano captato nel momento della sua gita fuori porta, alla ricerca di ciò che Roma non era più da un pezzo, del vino e della tavola locali, delle feste popolari.
Anzi proprie queste ultime: le feste e le sagre, innumerevoli nei Castelli Romani, sono la risultante di un'operazione di promozione di immagine "concordata" fra turisti e indigeni, fra romani e laziali, fra produttori e consumatori, fra urbe e suburbio, per cui la Sagra dell'Uva di Marino (che è la più caratteristica e antica dell'italica Penisola) risulta da una chimerica sovrapposizione della religio popolare dell'ottobrata al culto locale della Madonna della Vittoria.
Complici potenti di questa trasformazione in senso "popolare" dei Castelli Romani, quando già questi si avviavano a divenire inesorabilmente cittadine satelliti e poi sobborghi di Roma, furono prima la ferrovia nella seconda metà dell'Ottocento e poi l'avvento della ferrotranvia nella prima del Novecento. Fu così che i Castelli Romani valorizzarono i loro prodotti agricoli, di cui il più tipico resta ancora il vino, e della loro cucina fecero l'industria portante, tutta rivolta a compiacere i vacanzieri del fine settimana.
Rimane comunque confortante il fatto che, sebbene siano nati innumerevoli restaurant per servire banchetti nuziali, cresime e comunioni, e le più modeste trattorie e osterie si siano via via rinnovate per dare la caccia all'ultimo avventore (tranne qualche piatto di pesce di troppo!), le fondamenta della cucina che chiamiamo "casareccia" non si sia snaturata più di tanto nel suo farsi popolare. Nonostante la spinta derivante da un adattamento industriale e turistico commerciale, la tavola dei Castelli Romani è rimasta sostanzialmente fedele alle sue caratteristiche originarie che, se la fanno appartenere di diritto alla più ampia famiglia della cucina laziale, nello stesso tempo la fanno essere prima e indiscussa tributaria della cucina romana, della quale costituisce una delle tre fondamentali componenti, insieme a quella ebraico romanesca e a quella testaccina.

Per la rubrica Sagre & Profane - Numero 65 settembre 2007