RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Sagre & Profane

La cultura dei saperi

Terreno fertile per le feste dell’uva

L’economia vitivinicola ai Castelli: storia e tradizione, alla scoperta di cosa “sta dietro” alle feste e sagre dell’uva e del vino

Per meglio comprendere le radici delle varie Sagre e Feste legate all'uva e al vino nei Castelli Romani, vi proponiamo (a puntate) un breve tuffo nella storia sociale ed economica dei nostri territori, da sempre così fortemente caratterizzati dalla coltivazione vitivinicola.

Dal latifondo all'agognata vigna...
(prima puntata)

Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento nell'Agro Romano domina il sistema del latifondo: la metà delle proprietà supera i 5 mila ettari. La conduzione è fortemente arretrata: i proprietari vivono lontani dalle loro terre, vi investono poco o nulla, e il mercato del lavoro è fondato sul bracciantato, con giornate lavorative che possono raggiungere le 18 ore. La presenza di aree desertiche, paludose e malariche tiene gli uomini lontani dai campi e li costringe a migrazioni stagionali, rendendo necessaria una coltivazione estensiva, con alternanza di grano e pascolo.
Le medie proprietà (da cento a mille ettari) costituiscono invece il 30% del totale e si estendono principalmente nelle aree collinari - per lo più nel viterbese e nei Castelli Romani - con produzioni soprattutto di vino, olio e frutta, e una gestione varia: affitto, colonìa, mezzadria ed enfiteusi (il fondo viene ceduto al contadino che lo lavora, con l'obbligo di apportarvi migliorie e di pagare un canone per un periodo pari almeno a 20 anni), diffusa soprattutto nei Castelli.
Nel resto delle terre, soprattutto le più montuose, minuscole proprietà praticano un'agricoltura di pura sussistenza.
Alle difficili condizioni di vita del contado laziale si aggiunge, a partire dall'ultimo trentennio dell'Ottocento, il progressivo abbandono della frutticoltura (fino ad allora più remunerativa della viticoltura per le medie proprietà), per l'arrivo sul mercato romano dei prodotti della frutticoltura meridionale a costi molto più bassi, il che contribuisce alla diffusione della coltura dell'olivo e soprattutto della vite, fino a rendere a inizio Novecento quest'ultima preponderante nelle zone collinari, in particolare nei Castelli Romani. La viticoltura rende i proprietari strettamente dipendenti dalla numerosa mano d'opera, e non consente loro di abbandonare a rotazione il terreno al pascolo: un vigneto richiede a quel tempo una media annua di 180 giorni di lavoro contro i 40-50 di un campo di grano. Così la realtà contadina dei Castelli Romani - benché spesso minata da epidemie parassitarie e da irregolari condizioni metereologiche - presenta una situazione di povertà meno drammatica rispetto a quella del Meridione italiano, sia pur mantenendo come questo strutture agrarie nobiliari di tipo semifeudale: la significativa presenza di piccole proprietà, l'alto numero dei contratti in enfiteusi e i considerevoli profitti che la viticoltura può consentire forniscono ai contadini - che spesso per riuscire a "mantenere" le loro piccole proprietà o a pagare il loro canone si trasformano anche in salariati presso grandi tenute - una prospettiva concreta e percepibile di miglioramento delle proprie condizioni, e nello stesso tempo una sorta di "comunanza di intenti" con i braccianti in senso stretto.
Tra gli elementi specifici della realtà dei Castelli dev'essere inserita anche la vicinanza con Roma, che da una parte ne costituisce il mercato principale, assorbendo più dei due terzi della produzione di vino e olio, dall'altra ne rappresenta la "città della speranza" (richiamando molta manodopera specie nel settore edilizio) ed ha un ruolo di stimolo per il movimento contadino.
Per questo anche il quoziente di emigrazione è molto più basso, se non quasi nullo, nei Castelli rispetto al basso Lazio e al Meridione italiano, e meno cieca e più organizzata la lotta contro il sistema del latifondo.
Tra il 1897 e il 1915, in maniera spontanea e disarticolata, in diversi centri dei Castelli Romani (Colonna, Albano, Ariccia, Montecompatri, Monte Porzio, Rocca di Papa, Marino, Genzano), come in buona parte delle campagne laziali, si leva con forza la protesta delle masse contadine contro le misere condizioni della vita rurale, utilizzando come strumento principale quello dell'occupazione di terre. Si costituiscono le Leghe di resistenza (la prima del Lazio a Genzano, nel 1897; poi nel 1902 anche a Marino, Frascati, Montecompatri. E in seguito ad Ariccia, Albano, Velletri...), che aderiscono alla Federazione regionale dei lavoratori della terra (Federterra) e cercano di guidare la protesta, anche tramite la diffusione di periodici e l'organizzazione di congressi di settore.
Affievolitasi momentaneamente con la chiamata alle armi, nel corso della guerra la lotta contadina sembra rafforzata nelle sue ragioni dal pesante tributo in vite umane e dall'aumento della povertà, che rendono necessario l'aumento della produttività delle campagne - e da parte del Governo arriva nel 1916 qualche prima concessione di terre incolte o mal coltivate.
Nel 1917 si costituisce a Roma l'ufficio della Federterra per l'Italia Centrale, che inizia a dirigere le rivendicazioni. Si diffonde lo slogan "La terra ai contadini!", mentre dalla Russia giunge la notizia del successo della rivoluzione proletaria.
Conclusosi il conflitto, la speranza in un domani migliore sembra risvegliare il movimento contadino castellano, benché ancora in maniera confusa e disarticolata.
Negli anni del conflitto i proprietari hanno fatto massicciamente ricorso alla manodopera a basso costo rappresentata da prigionieri di guerra e forestieri (Frusinate, Marche, Emilia Romagna), e non intendono rinunciarvi, anche perché ciò consente loro di contenere le "pretese" dei braccianti locali.
Così, a guerra finita, le agitazioni nelle campagne del Lazio - e dei Castelli - riprendono con nuovo vigore, alimentate dalla fame e dalla difficoltà di reinserimento lavorativo dei reduci, guardando ai socialisti come unici e veri rappresentanti dei diritti dei lavoratori. Durante il cosiddetto "biennio rosso" (1919-1920) si susseguono da una parte le occupazioni di terre e gli scioperi contro l'utilizzo di manodopera forestiera nonché le lotte per la costituzione di locali uffici di collocamento e la regolamentazione di ore lavorative e salari (con alcuni risultati a Frascati, Genzano, Albano e Monte Porzio - benché non tutti i proprietari, e non subito, siano disposti a cedere); dall'altra, pur senza incidenti o violenze, le occupazioni di terre, le quali sono decisive per l'approvazione del decreto Visocchi (1919), che sancisce l'assegnazione per quattro anni salvo proroga - anche definitiva - di terre incolte o mal coltivate e che, se applicato nel senso più largo della sua interpretazione, potrebbe anche significare lo smantellamento del sistema del latifondo...
Tali terreni, posti di solito ai confini del comprensorio viticolo già esistente, lontani cioè parecchi chilometri dai centri abitati, costringono però i lavoratori dei Castelli a lunghi viaggi a piedi. Essi, inoltre, sono buoni viticoltori, ma pessimi agricoltori, senza contare che l'estensione limitata dei lotti assegnati (meno di mezzo ettaro) li rende antieconomici, per cui spesso si è costretti a cederli per tornare ad essere braccianti. Qua e là comincino allora a sorgere nuovi vigneti, coltivazione più redditizia e più consona ai castellani, anche se non tutti possono sostenerne l'elevato costo di impianto. Tuttavia, l'aver combattuto in diverse parti d'Italia ha fatto conoscere nuove tecniche più economiche di coltivazione della vite, oltre che vitigni più resistenti alla fillossera (dilagante da fine Ottocento). Gli intraprendenti che decidono dunque di convertire il "poderetto" ottenuto in un vigneto "nuovo", senza saperlo porranno le basi per l'evoluzione della viticoltura nei Castelli. Da viti coltivate basse, sostenute da canne disposte "a conocchia", in stretti filari, e da vitigni numerosissimi, frutto di osservazioni, sperimentazioni e selezioni spontanee avvenute nel corso dei secoli, si andrà progressivamente verso una selezione dei vitigni più "convenienti" (soprattutto Malvasia di Candia e Trebbiano Toscano) e verso la riduzione della manodopera. Si migliorerà progressivamente in tecniche di vinificazione, ma si perderà in varietà di uve pregiate...

Piccola bibliografia

LIBRI

Lotte contadine e avvento del fascismo nei Castelli Rom
ani / Ugo Mancini. - Roma : Armando, c2002.
Storia di antagonismo e resistenza / Salvatore Capogrossi ; introduzione e cura di Claudio Del Bello. - Roma : Odradek, stampa 1996
Il vino dei Castelli romani ieri e oggi /[testi di Giovanni De Angelis ... et al.] ; con il patrocinio della Regione Lazio. - Roma : Enopanorama, 1981
Quando il vino si mangiava / Colombo Cafarotti. - s. l. :Il Parnaso, stampa 1996.

WEB

http://www.novecentoitaliano.it - Itinerari storico-culturali nel Lazio : Consorzio BAICR Sistema Cultura - Ministero per i Beni e le Attività Culturali.Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali - Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane e per le Informazioni
Bibliografiche (ICCU), u.c. 20/08/2007.

Per la rubrica Sagre & Profane - Numero 65 settembre 2007