RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Cibo per la mente

Suono e visione

Come definire Suono e Visione? Lì doveva arrivare, Lanciotti poetessa; e lì è arrivata. Non per trovarvi un punto d’arresto, un approdo, o una tregua, ma per oltrepassare e magari forzare la “vietata soglia”. A volte, e come per miracolo, il verso si scioglie in canto essenziale, disintegrandosi; però la forma della poesia resta essenzialmente interrogativa. La Lanciotti si è intimamente imposta di non dare risposte, ma interroga il silenzio delle cose. Il silenzio delle cose ultime.
Da questa ardita sperimentazione poetica, la parola insorge dal silenzio come da un abisso. Non sappiamo se da essa prevalga l’elemento divino o l’elemento demoniaco. Sappiamo però che queste poesie danno voce agli opposti, perché gli opposti coesistono: la luce e il buio, il sì e il no, il mistero che consola e l’enigma che brucia.
Separandosi dall’assordante silenzio, la parola cerca se stessa, cerca la sua significazione non più revocabile. Ma è destinata a ricadere nel silenzio. Fatica della poesia, sofferenza della poesia. La parola per l’autrice non può, non deve conciliarsi con sé: le accadesse, come di fatto le accade, e rinunciasse alla sua essenziale problematicità per farsi specchio del mondo, sarebbe costretta a mentire in forza di questa presunzione di verità. La Lanciotti è creatrice d’incanto in punta di piedi.
Non cerca la perfetta compiutezza di tutto ciò che è, ma sparge piccoli semi, che son promesse, certo, ma fragili e a rischio: questo semmai è l’essere per Maria Lanciotti poetessa. Seme che affonda e trova infine dimora dove il fango si rapprende. Lì cerca riparo, poiché al sicuro non si sente.
Sembra che il titolo delle sue ultime poesie contenga in sé, più che un indirizzo alla lettura di un solo libro, la descrizione di un percorso esistenziale e poetico. Perché in questi versi c’è solenne meditazione ed ansiosa interrogazione, poesie tramate di pensiero, alcune volte impervie. Soltanto le pause elegiache e qualche spunto minimo di racconto ammorbidiscono la tagliente scansione, che ama esaltarsi con lo stacco – parola inceppata o evidenziata - degli spazi bianchi. Il linguaggio di timbro alto si concede preziose rudezze.
Valery diceva: il primo verso viene da Dio, tutti gli altri dal lavoro. Traspare la necessità da questi versi, magari legata a un accostamento di parole, o a un giro di frase, un ritmo, una cadenza.
Bisogna riconoscere ancora una volta alla Lanciotti poetessa il non comune talento di riuscire nell’epica impresa di saldare in una persuasione di misterioso riscatto l’umano, il subumano e l’oltreumano.

Maria Panciotti, “Suono e visione”, Anterem, 2006

Per la rubrica Cibo per la mente - Numero 57 novembre 2006