RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Primo piano

Castelli di pane

Calde, dorate, ineguagliabili fragranze

Still life with a blue vase

Basta entrare in una qualsiasi libreria, accendere la TV, sfogliare una rivista o ancora osservare le vetrine dei negozi o gli stessi scaffali dei supermercati per accorgersi del grande interesse suscitato dalla gastronomia. Un patrimonio italiano di eccellenza fatto di cultura, manualità, fantasia, quello che con un’espressione moderna siamo ormai soliti definire e racchiudere nell’espressione Made in Italy. Questa ricchezza è il frutto di un profondo legame con il territorio, l’ambiente pedoclimatico, le tradizioni, le vicende storiche, elementi determinanti nell’emergere di talune tipicità. Ma non solo, consuetudini culinarie sopravvissute solo all’interno di alcune minoranze o in zone ristrette del paese, hanno permesso la sopravvivenza di specialità gastronomiche tali da costituire un “unicum”: un valico inespugnabile contro la dilagante omologazione del gusto.
Nelle nostre zone non solo il binomio vino e Castelli, legato alle tipiche osterie (“fraschette”) un tempo così numerose, ma anche i sapori tradizionali dell’olio di oliva, degli insaccati, del pane e dei vari tipi di pasta fatta in casa, dei dolci, rappresentano un “valore aggiunto”.
Il pane è il cibo per antonomasia, tanto da divenire, nel corso dei secoli, un simbolo sacro. Ma che cos’è dal punto di vista materiale? Come definirlo?
Innanzitutto è un cibo “semplice” ottenuto mescolando farina, acqua e lievito con (o senza aggiunta) di sale. L’impasto lievitato viene quindi sottoposto a cottura totale o parziale. È un alimento che fornisce una buona parte delle sostanze ritenute indispensabili per lo sviluppo ed il mantenimento dell’organismo umano in quanto contiene idrati di carbonio (sotto forma di amido) e una discreta percentuale di zucchero, proteine, sali minerali e vitamine. La tecnica di produzione varia naturalmente a seconda delle tradizioni locali e anche in relazione all’ampiezza della produzione.
Cominciamo dunque il nostro viaggio, esplorando il mondo fragrante e dorato del pane prodotto nel territorio castellano.
Nei Castelli Romani, la storia del pane è strettamente connaturata alla storia del mondo contadino; mentre, nel tempo, le migliorie apportate nelle tecniche di produzione, l’ottima qualità delle acque impiegate, il perfetto abbinamento con i piatti tradizionali della cucina castellana, ne hanno decretato il successo e la notorietà che durano ancora oggi.
Informandoci qua e là presso i fornai delle nostre zone, abbiamo rilevato che i procedimenti di lavorazione del pane casereccio sono più o meno ovunque gli stessi: la lavorazione avviene nell’impastatrice (unico procedimento meccanico usato) e dura ca. mezz’ora; poi l’impasto è lasciato a crescere “in loco” per un’ora; quindi si toglie dall’impastatrice, e si realizzano le varie “forme”, dopo di che i pani si mettono una seconda volta a lievitare nelle tavole di legno (contenitori di ca. 2 m) per mezz’ora o un’ora al massimo. Il tempo di cottura è di 1 ora - 1 ora e dieci. Tutto il procedimento di panificazione dura quindi tra le 4 e le 5 ore.
A variare sono i prodotti usati per gli impasti, e i tipi di forno (oltre, naturalmente, all’aria e all’acqua che sono di difficile “esportazione”!).
Il pane ai Castelli è, certamente, buono ovunque, ma diverso da un paese all’altro. Tra i vari “pani”, spiccano quelli di Genzano e Lariano per caratteristiche peculiari che li rendono “riconoscibili” a livello - almeno - nazionale; mentre però il pane di Lariano sta ancora faticosamente cercando il proprio riconoscimento “ufficiale”, in adeguamento alla complicata normativa europea, quello di Genzano ha avuto maggior fortuna, ottenendo nel ’97 il marchio IGP (Reg. CEE 2081/92 – marchio relativo a prodotti agricoli o alimentari la cui qualità e reputazione sia attribuibile alla propria origine geografica e la cui produzione e/o elaborazione avvengano in quella determinata area). Anche il pane ariccino - un po’ “figlio” di quello di Genzano, perché prodotto per lo più da famiglie genzanesi trasferitesi nella vicina Ariccia – vanta da qualche anno una buona notorietà.
…Non ci resta dunque che “assaggiarne” qualcuno, e rimandare - a breve - un’indagine più esaustiva su tutti i pani del nostro territorio.

Il pane di Genzano ottimo per la bruschetta

Di tradizione molto antica e già apprezzato nel 1800, quando veniva lavorato dalle singole famiglie che lo cocevano in forni a legna denominati “socce”, è dagli anni ‘40 del secolo scorso che ha acquisito un’enorme reputazione prima presso gli abitanti di Roma e poi anche al di fuori del Lazio.
Nel 1988 è nato il “Consorzio Tutela Pane Casereccio di Genzano”, al fine di tutelarlo e promuoverlo sul mercato.
L’adozione del marchio IGP – approvato con il Reg. CE 2325 del 24/11/97 – ha comportato per i panificatori l’osservanza di regole ben precise per garantire le caratteristiche formali di pezzatura (peso da 0,500 kg a 2,500 kg; pagnotte con “baciature” ai fianchi o filoni rotondi e lunghi), spessore della crosta (3 mm ca.), di colore e consistenza della mollica (colore avorio; alveoli di grandezza regolare), fragranza (di cereale genuino, che ricorda il profumo del granaio), sapore (sapido), umidità (max 33,7%) e peso specifico (0,23 Kg/cm cubo), su cui vigila il Consorzio dei produttori. L’impasto - o “biga” - viene preparato almeno due ore prima per raggiungere la giusta acidità, con lievito integralmente naturale, farina di tipo 0, sale e acqua, e rinfrescato tutti i giorni con acqua e farina. La durata della fase di crescita - di ca. un’ora - viene seguita dal controllo diretto del fornaio, che poi procede alla realizzazione delle forme, collocandole in casse di legno su teli di canapa e spolverandole con cruschello o tritello. Dopo la seconda fase di crescita (ca. 40 minuti), c’è la cottura, che può durare dai 35 minuti a un’ora e 20 ca., ad una temperatura tra i 300 e i 320° e, secondo il disciplinare, può avvenire in forni sia a legna sia con diversa alimentazione – la quantità in ogni caso è migliore con l’utilizzo del forno a legna, meglio se di castagno.
Il pane di Genzano si abbina bene a qualunque pietanza, ma abbrustolito e condito con l’olio extra vergine di oliva a crudo diventa un ottimo antipasto (la tipica “bruschetta”).

Il pane di Lariano speciale con gli affettati

Il pane di Lariano, per il cui impasto si usa esclusivamente lievito naturale, è definito “pane di grano” in quanto la farina usata è del tipo “2”, cioè semi-integrale. L’effetto - sia della quantità di crusca nella farina, che della totale naturalità del lievito - è quello rendere il pane più pesante e compatto, allungandone i tempi di conservazione (anche fino a 5/6 giorni). La cottura avviene in forni di mattoni refrattari riscaldati esclusivamente con legna di castagno.
Gli abbinamenti con i cibi sono i più diversi, ma pare che il pane di Lariano, molto “umido”, si abbini bene soprattutto con gli affettati secchi (prosciutto, speck).

Per la rubrica Primo piano - Numero 57 novembre 2006
Cinzia Silvagni |
Per la rubrica Primo piano - Numero 57 novembre 2006
Rosa Maria Cascella |
Per la rubrica Primo piano - Numero 57 novembre 2006