Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Biblioteca di Trimalcione

Il banchetto di Pesah

La pasqua ebraica e la festa degli azzimi

Nella Bibbia il banchetto sacro più solenne, per la preparazione del quale vengono impartite precise istruzioni, sia per l'organizzazione che per la celebrazione, è senza alcun dubbio quello della Pasqua. L'etimologia del termine ci permette diverse interpretazioni, dalla radice "psh" che significa zoppicare, saltellare, in ricordo della bontà di Jahvè che ha saltato le case del suo popolo, dal termine "pasahu" che in egiziano significa "colpo", con riferimento all'ultima piaga inflitta al popolo, fino ad altre ipotesi che sono sicuramente note ai nostri lettori. Comunque sia l'etimologia del termine, che le radici del rito, si perdono nel tempo. Delle prescrizioni abbiamo un racconto dettagliato, in quanto si trattava di una festa conosciuta nel tempo e che invano Mosè chiede al faraone di poter celebrare con la sua gente, recandosi per tre giorni nel deserto. Nei tempi precedenti si festeggiava la pasqua e la festa degli azzimi in maniera distinta. Erano entrambi due festeggiamenti primaverili con la funzione di ringraziamento per celebrare il risveglio della terra dopo il letargo invernale e che ricordiamo nei diversi miti delle origini delle stagioni sia di ambito greco che romano.
Tornando al rito della Pasqua ricordiamo tre grandi momenti, anzitutto la celebrazione dei riti di abbondanza e fertilità legati all'equinozio di primavera, in cui l'uomo riempie il tempo cosmico di sacralità e di riti. In un secondo momento si attribuisce al momento un significato trascendente, secondo il quale il Signore "in questo giorno" ha salvato il suo popolo come si legge in Es 13,3. Infine il sacrificio del Messia, immolato come agnello pasquale e la resurrezione come riscatto per l'umanità intera danno completezza al momento
Il rifiuto del faraone, la decima piaga, la fuga sono legami occasionali con la situazione, ma la arricchiscono di sfumature e valore, così come abbiamo il passaggio attraverso il deserto, il passaggio dell'angelo e il passaggio del Mar Rosso, fino alla consegna del Decalogo in cui avviene la trasformazione degli israeliti in popolo eletto.
Tornando al rito della festa si può evidenziare una notevole piega pedagogica dello stesso, perché l'uomo non doveva mai dimenticare la benevolenza di Jahvè. Leggiamo a questo proposito in Es 12,3 e seg. "Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa." E ancora riprendendo dal versetto 5 "Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo serberete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po' del suo sangue, lo porranno su due stipiti e sull'architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere. Non ne dovrete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco." Il momento cade nel primo mese di primavera, intorno a marzo-aprile, che prendeva il nome di abib nell'antico calendario. Il Signore ordina ad Israele di nutrirsi di focacce azzime come leggiamo in Es 12,18, "nel primo mese, il giorno quattordici del mese, alla sera, voi mangerete azzimi fino al ventuno del mese, alla sera" e ancora agnello o capretto cotto arrosto senza spezzarne alcun osso, erbe amare, dall'ebraico "chazzeret", con molta probabilità lattuga selvatica intinta o in acqua salata o aceto (karpas), rimaste poi simbolo di fretta e di amarezza. Col tempo la cena venne arricchita col "charosset ", una sorta di crema dal sapore dolce a simboleggiare la conquista della libertà.
Tornando alle azzime, ricordiamo che queste erano il cibo caratteristico delle popolazioni nomadi nel rituale antico di questa festa; l'impasto portato via dall'Egitto era composto di farina di grano o di orzo, sale ed acqua, poi vennero aggiunti olio, vino, semi di sesamo o di papavero in ricordo della discesa della manna. Sicuramente non saranno mancate le decorazioni fatte con semplici bastoncini e in seguito con appositi stampini di legno. La seconda pasqua celebrata da Mosè è sicuramente più ricca di elementi nuovi. Si tratta di una festa che da familiare diventa comunitaria, con offerte in olocausto per ben sette giorni. Con Ezechia fino ai tempi dell'ultimo re d'Israele, Giosia, si parla di una festa celebrata con un fasto crescente (2Cr 35,19), con grandi quantità di agnelli e buoi immolati, con cotture sulla brace e in pentole, caldaie e tegami per le parti consacrate che successivamente vengono distribuite al popolo presente. Ribadiscono il grande valore assunto dalla festa anche il profeta Ezechiele (Ez45,21) , fino a Gesù che nella sua vita si trova a Gerusalemme più volte in questo momento dell'anno: con i genitori, da adulto al tempio con i suoi discepoli fino al momento in cui si fa agnello pasquale , proprio mentre il popolo prepara la cena rituale. Egli rispetta le prescrizioni mosaiche, ma le amplia trasformando la materia presente sulla mensa della cena pasquale e pronuncia le benedizioni sul pane e sul vino introducendo i riti sacramentali. La legge mosaica continua ad essere osservata da Gesù , ma svincolata da quelle norme non strettamente legate alla fede.
Tornando alle antiche prescrizioni simboliche, la famiglia ebraica si riunisce in piedi dopo aver fatto le abluzioni e beve il primo di quattordici calici di vino rosso, in memoria del sangue dell'agnello con cui erano state segnate le case, affinché fossero saltate dall'angelo per risparmiare i primogeniti. Il capofamiglia inizia a raccontare al bimbo più piccolo presente in casa tutto ciò che Jahvè ha fatto per il suo popolo. Si passa a mangiare la carne di agnello senza spezzarne alcun osso, cercando di non farne avanzare nulla. Se dovesse rimanere della carne, questa dovrà essere bruciata. La famiglia servirà poi le erbe amare intingendole nel karpas e nel charosset, che come abbiamo detto sono memoria l'uno dell'amarezza della schiavitù, l'altro della dolcezza della libertà.
La cena viene servita imbandendo la tavola con una tovaglia bianca a ricordo della manna e sono sempre presenti il sale dell'alleanza e le tre azzime, in ricordo delle tre staia di farina che erano servite a Sara per preparare il pane per gli ospiti di Abramo, memoria inoltre della festa degli azzimi. Si servono infine la frutta secca tipica del medio oriente come i datteri, le noci, i pistacchi, l'uva, i fichi. Una nota merita il charosset , memoria dell'impasto che gli israeliti usavano per fare i mattoni durante la schiavitù in Egitto. La preparazione è assai suggestiva per il valore simbolico che ha ogni ingrediente: anzitutto si prendono delle mele grattugiate in memoria del melo sotto cui le donne partorivano per non farsi vedere dal nemico che poteva uccidere i neonati, come era stato ordinato dal faraone, (Es1,19), si aggiungono all'impasto noci tritate e miele, scorza di limone grattugiate, cannella in polvere, quest'ultima in ricordo della paglia usata sempre nella costruzione dei mattoni (Es 5,7), infine tutto viene innaffiato con del vino rosso. Si ottiene una salsa gradevolissima che ricorda il ripieno di fantastici dolcetti che abbiamo potuto degustare sia in Grecia che in Turchia e nella nostra non meno splendida Sicilia.