Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Pepite

Intervista a Luca Onorati

L'emozione del montaggio

Montatore di Anija, La Nave Di Roland Sejko, documentario vincitore del Davide di Donatello 2013

Luca Onorati, 34 anni, documentarista. Montatore di numerosi documentari di successo, ma anche regista di lavori indipendenti. Come si decide di diventare montatori?
All' inizio si è attratti da un mondo, quello del cinema e dell'audiovisivo in generale. Poi si finisce a percorrere delle strade, quelle della gavetta, che ti portano a contatto con realtà lavorative molto interessanti. Quindi si inizia con una passione e si scopre che l'audiovisivo è composto da tanti mestieri, spesso molto artigianali, che messi insieme fanno quel bel film che ci godiamo in sala o quel documentario che ci fa sognare di posti lontani.

Hai usato due parole: gavetta e artigiano. Possono sembrare anacronistiche nel nostro velocissimo mondo digitale.
Secondo me sono le basi del nostro lavoro. La gavetta è fondamentale perchè il montaggio, la fotografia, il suono e tutti gli altri tasselli che creano il film sono mestieri come quelli di una volta... Mestieri da bottega: non c'è scuola che possa sostituire l'esperienza diretta del lavoro. Il saper fare il mestiere del cinema e del documentario presuppone imparare da qualcuno i trucchi del mestiere, le dinamiche del lavoro e i mille modi per risolvere un problema. Io ho imparato lavorando, anche se ho affiancato l'università al lavoro. C'è da dire che senza l'esperienza diretta, senza la gavetta non sarei andato da nessuna parte.

E l'artigianato?
L'artigianato è il paziente lavoro di cesello. Nel montaggio si passano intere giornate su pochi fotogrammi. Fino a 15/20 anni fa si montava in moviola e quello era veramente un duro lavoro manuale. Oggi, con il montaggio digitale, si ha l'impressione di aver perso un po' di quella magia... Ma posso garantire che l'unica cosa che cambia sono gli strumenti e i tempi di alcune fasi di lavorazione. Il montaggio è ancora taglia e cuci.

Il documentario. È un figlio minore del cinema o c'è molto da scoprire?
È bella l'espressione "figli di un Dio minore". Ma non si adatta al lavoro del documentarista. Al documentario certamente mancano i VIP, gli attori, le prime pagine e i tappeti rossi. È' evidente che, visto dall'esterno, il mondo del documentario (che è molto variegato e complesso) risulta meno affascinante rispetto al cinema. C'è però molto da scoprire: la complessità del lavoro è esattamente come quella dei film, i mestieri sono gli stessi e quando un bel documentario finisce in sala la gente lo va a vedere molto volentieri. Basta pensare al grande successo di Michael Moore o di "Valentino, l'ultimo imperatore". Se il documentario viene proposto come il grande cinema, esso smette di essere un "figlio minore". E poi, se proviamo ad eliminare del tutto i documentari dai palinsesti dei mille canali televisivi rimane ben poco...
Quello che fa la differenza è sempre il budget. La macchina del cinema e del documentario è costosa, avere pochi soldi non vuol dire non fare bei lavori, ma vuol dire farli con molta fatica. Nel nostro settore, come in altri, c'è una crisi profonda. Produrre poco cinema e poca documentaristica (e in più a basso costo) significa non riuscire a competere con l'estero, significa esportare poco e può voler dire che si perdono anche professionalità. Tanti colleghi cambiano lavoro o se ne vanno dove c'è più ossigeno. Insomma, fare questo mestiere in Italia richiede grande coraggio e determinazione.

Ma non mancano le soddisfazioni. So che alcuni dei tuoi lavori sono andati particolarmente bene: mi riferisco ad Antonio+Silvana=2 e Anija di Roland Sejko.
È vero. Con Antonio+Silvana=2, un documentario realizzato insieme a Vanni Gandolfo e Simone Aleandri, abbiamo partecipato al festival di Roma nel 2010 e siamo stati selezionati a IDFA ad Amsterdam, che è forse il più importante festival di documentari europeo. Con Anija di Roland Sejko, che ho montato nel 2012, abbiamo vinto il David di Donatello come miglior documentario e siamo arrivati in finale ai Nastri d'Argento. L'impegno e la costanza e le buone idee hanno ancora un valore enorme. Questi due lavori, molto diversi tra loro, lo dimostrano: entrambi hanno avuto anche un buon successo di pubblico. Anija è proiettato quasi tutte le settimane in tutta Italia da due mesi...

So che stai lavorando all'Istituto Luce. Che effetto fa lavorare con la storia?
È un vero privilegio. L'Istituto Luce è da poco entrato nel Registro Unesco della memoria del Mondo. Realizzare documentari all'interno di una realtà così importante è, per un montatore, un'esperienza bellissima. Io amo profondamente i documentari di storia e poter "rovistare" tra migliaia di ore di archivio è un'esperienza unica. Il montaggio, nei documentari storici, è una fase cruciale che spesso coincide con la scrittura stessa del film. Si parte da un'idea e lavorando sui materiali d'archivio si decide il modo in cui raccontare la storia.
In generale nel documentario la fase di montaggio è molto intensa. Nel cinema si parte quasi sempre da una sceneggiatura di ferro, poi si gira e poi si monta. Nel documentario la partenza non è quasi mai una sceneggiatura blindata, perchè raccontare la realtà ti mette davanti mille imprevisti che verranno poi risolti in fase di edizione. Capita molto spesso di iniziare un montaggio e l'idea originaria è completamente stravolta. È' compito del montatore, insieme al regista, ritrovare o creare da zero la via maestra e raccontare nel miglior modo possibile una bella storia che possa affascinare, far sognare, mostrare qualcosa al pubblico che lo tenga incollato al televisore.

Cosa consiglieresti a un giovanissimo che volesse intraprendere il mestiere del cinema?
Gli direi di cominciare immediatamente a lavorare. Finite le scuole superiori, cercare un "maestro" o una struttura dove iniziare a fare la "gavetta". Nel frattempo fare anche un percorso teorico: l'università o studiare il cinema e il documentario come autodidatta con grande passione e impegno. Vedere mille film e documentari al giorno, anche quelli noiosi, guardare molta TV per avere il polso del mercato e leggere le biografie dei grandi registi che sono fondamentali per avere sempre voglia di fare meglio. Ma la cosa più importante, come dicevo prima, è imparare un mestiere alla vecchia maniera: lavorando e rubando con gli occhi i trucchi del magico mondo dell'audiovisivo.

 



ANIJA (LA NAVE)
E' un film di Roland Sejko. Con Ivo Calebotta, Eneida del Prete, Eva Karafili, Avni Delvina, Ardian Elezi. Documentario, durata 80 min. - Italia 2012
.
Un documentario prezioso che mette in evidenza la predisposizione dell'uomo a sognare in un mondo migliore. Il mare, la notte e il carico di zucchero sotto i piedi. I sorrisi, i segni di vittoria, gli sguardi colmi di speranza. Migliaia di cittadini albanesi, nei primi Anni Novanta, hanno raggiunto l'Italia, allora il paese del benessere conosciuto attraverso la televisione, per tentare di fuggire per sempre dal loro paese distrutto dalla dittatura di Enver Hoxha. Tra la partenza rocambolesca da Durazzo all'attracco finale ai porti italiani, il loro viaggio si distingue per un riverente e ossequioso silenzio che ha riempito le ore di attesa prima dell'arrivo a terra. Il grande esodo di quel burrascoso periodo ha segnato una svolta nella storia dell'Albania e ha inaugurato un flusso umano, fatto di sogni e disperazione, che ancora oggi segna l'Italia. Il documentario si focalizza sui volti e sulle parole degli intervistati che hanno vissuto in prima persona quella esperienza. Spezzoni di telegiornale, fotografie e video di repertorio rendono tangibile la commistione di profonda tragedia umana e, allo stesso tempo, travolgente attaccamento alla vita, che è stata la grande emigrazione albanese. Dai racconti così partecipati e toccanti emerge limpida una verità: non cercavano soldi e vita facile, ma volevano sentirsi liberi di seguire le proprie passioni, di dire "No" senza per questo il timore di essere condannati a morte o rinchiusi nei campi di prigionia. E' un punto di vista passionale e appassionato quello dell'autore, perché egli stesso è arrivato in Italia vent'anni fa a bordo di una delle cosiddette navi della speranza, diventando poi sceneggiatore, giornalista e regista.

Per la rubrica Pepite - Numero 117 settembre 2013