Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Pepite

Mario Quattrucci dall'impegno politico allo tsunami di gialli che travolge l'Italia

Intervista di Loredana Massaro

Perché scrivere romanzi gialli oggi? Perché la scelta di questo genere letterario?
Quando ho iniziato a scrivere non ci aveva ancora travolto lo tsunami di gialli che sommerge l'Italia: ora forse farei un'altra scelta. Scelsi il giallo per quattro motivi. I ─ ero e sono un appassionato del genere; 2 ─ volevo tenermi in understatement, cioè dire a me stesso e ai lettori che non avevo nessuna velleità di scrivere il romanzo del secolo ma solo di realizzare un'opera di onesto artigianato; 3 ─ il giallo, scritto da me in una chiave di realismo (congetturale ma realismo), mi consentiva e consente di parlare della realtà umana e sociale (e anche storico politica) che sempre viene (o dovrebbe venire) alla luce quando si indaga su un delitto e sulle sue ragioni profonde; 4 ─ volevo dimostrare a me stesso, e tuttora persevero nel fastidioso proposito, che si può scrivere un giallo, costruire un prodotto di artigianato, usando una forma e un linguaggio non sciatti, non banali, non corrivi verso le mode e le imposizioni delle redazioni editoriali e del cosiddetto mercato, ma dotati di una certa qualità letteraria, di una certa forza espressiva e perfino sperimentale.

I suoi romanzi sono ambientati a Roma. Cosa significa Roma come "luogo del delitto"? E quali sono, secondo lei, i delitti veri, i crimini veri che si consumano a Roma?
Roma, nonostante l'aumento degli omicidi di mala verificatosi negli ultimi due anni - in virtù dei quali la capitale è uscita da quella pax mafiosa goduta (per motivi che è impossibile ricordare in questa sede) per lunghi decenni - non è ai vertici della hit parade delle città più criminali. Naturalmente tutti i delitti, anche quelli che si consumano nella sfera del privato, nelle famiglie, contro donne e uomini inermi, spesso per futili motivi o per follia, sono gravi e intollerabili: e scrivendo un romanzo sempre da essi si parte. Ma se non vogliamo chiudere gli occhi, i delitti più numerosi e più gravi sono quelli che non vengono di fatto veri delitti o che, pur avendo questo nome, sono talmente enormi da sfuggire alla nostra percezione di giallisti. Parlo, quanto ai primi, della corruzione e del malaffare, dei reati finanziari i quali, derubricati, depenalizzati, presentati addirittura come non crimini ma anzi come il modo giusto per essere vincenti, oppure nascosti ed elusi, producono in realtà grande dolore, i morti e i feriti sul lavoro, la rovina di onesti cittadini e risparmiatori, la condizione di precarietà e sofferenza di anziani e giovani, la diffusione della droga, l'inquinamento mafioso camorrista 'ndranghetista dell'economia, la violenza gratuita, il corrompimento delle menti e dei cuori e la riduzione della vita a un torbido mercato delle cose e delle anime. Parlo, quanto ai secondi, delle trame oscure e delle feroci strategie di poteri occulti e di settori politici e statali deviati, che hanno insanguinato l'Italia negli anni di piombo, con lo stragismo, il terrorismo, l'ascesa delle mafie, i tentativi di sovversione, il traffico di armi, e che ancora operano per limitare svuotare o cancellare diritti e conquiste fondamentali. Ebbene, il luogo principale in cui tali delitti sono stati progettati e posti in atto e in cui continuano ad appestare il Paese, il centro di tutte le trame e i misteri d'Italia, il cuore e il cervello di tutti i traffici illeciti, è Roma. Nei miei romanzi, dunque, narrando storie particolari, vicende private, delitti domestici o per così dire al minuto, non posso fare a meno di rivelarne il legame e la contiguità con la storia del nostro amatissimo Bel Paese e con il marciume e i delitti che cela. O, quanto meno, con la dissipatio vitae e, cadute certezze e ideali, il decadimento sociale ed umano che stiamo vivendo. Ecco perché, nelle avvertenze redazionali, uso dire che nei miei romanzi la storia narrata è di totale invenzione ma il resto è tutto vero.

Esiste davvero un commissario Maré nelle questure romane?
Credo di sì. Credo anche a Roma. Certo Marè è un po' speciale, perché è un poliziotto che crede nello Stato di diritto e nella Costituzione e non ha paura di dichiarare la sua appartenenza a una visione dello Stato derivata dalla lotta antifascista di Giustizia e Libertà, di Parri, dei Fratelli Rosselli, di Gobetti. Ma quanti poliziotti onesti e per bene hanno difeso questi principi nel cinquantennio che abbiamo alle spalle? Quanti lottarono e lottano, spesso misconosciuti, contro quei mali e contro la criminalità organizzata e di stato? E quanti di loro hanno pagato perfino con la vita questa fedeltà alla Repubblica e alla sua legge fondamentale? Quanti anche, più semplicemente, praticano come Marè la virtù più difficile, la montaliana virtù della decenza, e di fronte al crimine e al delitto cercano caparbiamente e umanamente semplicemente la verità? Molti. E sono parte di quella grande parte di romani che sempre si oppose e si oppone all'affarismo e alle trame, alla viltà e al tradimento di forze politiche dominanti e di settori deviati dello Stato, i cui nomi e cognomi quasi mai sono romani e molto spesso, invece, del Nord. Ci fu un periodo, quello centrale della carriera di Marè, in cui la Polizia di Stato fu percorsa da un moto democratico sincero, in cui si formarono i sindacati della Polizia e si lavorò seriamente per superare lo scelbismo e il neofascismo e riportarla al servizio dei cittadini. Non è tutto perduto, quel lavoro. Anche se i fatti di Genova, e le molte collusioni, corruzioni, deviazioni, distrazioni, infiltrazioni massoniche, riscontratesi nei vari corpi dello Stato (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Servizi Segreti) ci dicono che la lotta è sempre aperta e non ancora vinta. A Roma, poi, più che altrove... È anche per questo, per questa regressione consumatasi negli anni Novanta e seguenti, che Marè è dapprima entrato in conflitto coi vertici questurini e se ne è poi andato in pensione. Nei miei racconti, tuttavia, cerco di non dimenticare mai questa esistente dialettica e lotta tra questurini fedeli alla Repubblica e uomini dello Stato infedeli e corrotti, e accanto a Marè mi piace spesso mettere in luce il ruolo e l'agire prezioso di poliziotti, finanzieri, carabinieri onesti e coraggiosi. Del resto mio padre era uno di loro.

I suoi personaggi si esprimono spesso in dialetto ma poi accanto al dialetto nei suoi libri troviamo riflessioni filosofiche profonde. Non è rischioso questo contrasto?
Sì, è rischioso. Ma anche stimolante e produttivo. Serve a sollecitare il lettore a soffermarsi sulla pagina scritta e a guardare al di là della superficie. Non solo della vicenda narrata, ma della lingua. Noi leggiamo molti grandi scrittori stranieri, americani, inglesi, francesi... in traduzione ma i loro romanzi sono pieni di idiotismi, dialetto, slang. È il loro modo di scrivere non accademico, vivo, espressionista, ed io, si parva licet, lì guardo. E naturalmente, e soprattutto, al sommo esempio di Carlo Emilio Gadda e del suo Pasticciaccio. Con umiltà di artigiano, come già detto; senza alcuna pretesa, ma devotamente. Quanto alla filosofia non so se le mie riflessioni siano profonde ma certamente vissute (come direbbe mia nipote) e, altrettanto certamente, non vanno nel senso del postmoderno e del pensiero debole.

Lei è anche autore di raccolte di poesie significative. Quale spazio trova oggi la poesia come linguaggio di comunicazione tra i tanti linguaggi utilizzati, per esempio dalla televisione a facebook?
Molto poco. A parte certi fenomeni appunto televisivi, come ad esempio la fortuna di Alda Merini, la poesia non viene praticamente letta. In privato e sui libri, intendo, poiché invece le iniziative di reading sono innumerevoli. Specialmente d'estate. In Italia ci sono 12 milioni di poeti e 12 lettori di poesie: i 12 milioni amano leggere solo le proprie. Esagero e scherzo, naturalmente. Ma il peggio è che- a parte alcune tribù di particolare orientamento alle quali credo di appartenere anche io ─ la più letta e apprezzata è la poesia dell'evasione e del disimpegno, del diario privato e dell'effusione sentimentale, della banalità e della facilità linguistica, del sogno piccolo-piccolo e della lacrima sparsa a propria privata consolazione. Valga ciò che è avvenuto qualche anno fa, allorché sull'onda della iperbolica beatificazione francese di Prevert, si diffuse l'opinione, che moltissime persone colte e progressite condivisero, secondo cui il più grande poeta italiano del '900 sarebbe Lucio Battisti. Il quale, fra l'altro, non scriveva versi ma musicava i testi di Mogol o di Panella e altri. Ora, con tutto il rispetto per I giardini di marzo e per quei piccoli avvenimenti della vita così deliziosamente cantati nelle loro canzoni, si può anteporre quelle effusioni e quei coinvolgimenti sentimentali alle opere di Campana o Gozzano, Montale o Sanguineti, di Caproni o Luzi, di Sereni, Pagliarani, Lunetta, Villa, Cacciatore, Ungaretti, Saba..., e mi fermo qui..., i quali dei piccoli fatti quotidiani, anche privati, seppero fare, sulla via di Leopardi, poesia vera alta e universale? Ma quell'iperbole su Battisti non fu un lancio mediatico e pubblicitario, ma il rispecchiamento di una tendenza della critica prevalente e di un permanente gusto (peraltro nemmeno il peggiore) del pubblico della poesia. Le ragioni e i significati di tutto ciò? Lascio a lei e ai lettori di scoprirli... Frequento poco la televisione, vedo i TG lo sport e i programmi tipo Quark e La grande storia, e quindi può darsi che sia male informato, ma mi sembra che poesia e teatro siano stati banditi ormai da decenni dalla TV. A parte, se non erro, qualche cronaca delle letture dantesche di Roberto Benigni in cui, davanti a folle estasiate, il nostro acrobatico clown nazionale procedeva al massacro della Commedia. La radio è altra cosa: lì almeno c'è un programma di Radio 3, Fahrenheit, che s'occupa quotidianamente di libri..., perfino di poesia. Anche a face book, a cui sono stato iscritto di autorità da mia nipote, mi affaccio saltuariamente ma, senza ovviamente generalizzare, anche lì mi sembra di cogliere la prevalenza di quella tendenza (diciamo battistiana) di cui sopra parlavo. E ho anche l'impressione che gli amici di face book (ma ripeto che sono solo impressioni) preferiscano scrivere qualcosa (leggero) di loro piuttosto che leggere qualcosa (magari in versi) degli altri. Tuttavia vedo che nel web crescono siti e forme editoriali on line che fanno opera eccellente di buona letteratura e buona poesia. In conclusione: sebbene contro ogni speranza, continuo a sperare...

Lei è passato dall'impegno politico nelle fila del Pci, dagli incarichi come giornalista alla scrittura, al mestiere di scrittore. Può raccontarci come si arriva all'approdo letterario?
Contrariamente a tutte le stupidaggini e alle barzellette che venivano messe in circolazione sul vecchio PCI, i comunisti italiani ─ e non parlo degli intellettuali, dei professori, degli artisti, ma dei militanti e dirigenti organici ─ non portavano il cervello all'ammasso ma leggevano, studiavano, frequentavano, facevano della cultura e dell'arte un loro dovere. Andavamo al cinema, al teatro, alle mostre; leggevamo romanzi italiani e stranieri non solo classici ma contemporanei; leggevamo in privato e in pubblico (perfino in qualche piazza o giardino) i poeti maggiori e minori... E discutevamo. Oh, quanto discutevamo! Facevamo notte accapigliandoci su Visconti o Fellini, su Antonioni o Bergman...; litigavamo per Picasso e Guttuso e soprattutto per Vedova o Burri o Mastroianni o Afro...; ci scontravamo su Pratolini e Pasolini, su Calvino e Gadda e sul Gruppo 63... Tutto ciò portava, portò me come altri, al desiderio di esprimersi anche direttamente. La voglia di scrivere l'ho sempre avuta, perciò, ma non poteva essere appagata. Al di là della lunga preparazione che ritenevo necessaria per scrivere, c'era il lavoro di partito e istituzionale che non consentiva di porsi a un romanzo. La poesia, nel tempo personale che perfino quell'impegno totale lasciava, era possibile, e da un certo momento in poi mi permisi di raccogliere versi e pubblicarli: ma il romanzo è altra cosa, richiede un lavoro da... artigiani, appunto. Devi metterti ogni giorno al deschetto, aprire ogni giorno la pagina bianca, e dedicare al lavoro alcune ore: faticando sulla parola, sull'immagine, sul ritmo, sulla sintassi... Doveva perciò arrivare il pensionamento, il momento cioè in cui decisi di farmi da parte per lasciare ad altri, più giovani, oneri e onori, perché potessi tentare la via della narrativa. Cosa mi ha spinto? Forse, innanzitutto, il bisogno di curarmi attraverso un particolare e sguincio modo di raccontarmi; poi la necessità di continuare in qualche modo a dire qualcosa (qualcosa di sinistra, naturalmente); ma in fondo, e soprattutto, il bisogno di cimentarmi con un atto creativo. Per piccolo e povero, per quanto modesto e di scarso mercato, è il mio romanzo: l'ho prodotto io, con un po' d'estro e con molta fatica..., ma fatica di quella buona..., è uscito dalle mie mani. Se poi può raggiungere e divertire 25 lettori (ma 25 davvero), e può addirittura dare qualcosa a qualcuno, trasmettere qualche idea e un po' d'amore per la verità e la giustizia, tanto meglio: lo scopo che si propone ogni artigiano (e mi scuso per usare anche qui parole di Gadda) l'ho raggiunto anche io.

Che cosa lo lega in particolare ai Castelli Romani?
Sono nato a Velletri, che è uno dei Castelli Romani, sebbene al limite. Sono sempre vissuto a Roma ma qui, o alla vigna dei parenti e nelle strade di città d'ammonte e d'abballe, ho trascorso coi cugini, gli zii, il nonno, giorni formativi dell'infanzia e dell'adolescenza, all'indomani della guerra devastatrice, e poi della giovinezza di studente. Da mio nonno, da mia madre e da mio zio, dal fratello di mio nonno Padre Guardiano del Convento dei Cappuccini ad Albano, tutti velletrani e tutti socialisti, ho appreso la storia e le storie di questi luoghi e di queste genti, e da loro ho ricevuto il basilare indirizzo ideale. In seguito ho insegnato alla Scuola delle Frattocchie poi, quasi per caso, sono stato chiamato a dirigere le organizzazioni del PCI e a occuparmi dei Comuni di questa Zona..., perfino sedendo nel Consiglio di Lanuvio. Mi sono legato così a tante persone che hanno enormemente ingrandito la mia famiglia: antichi combattenti del socialismo castellano coetanei di mio nonno, combattenti antifascisti del tempo in cui i Castelli furono sotto il tallone nazista, vignaroli, edili, braccianti, insegnanti, architetti, professori, e tante ragazze dai 90 ai vent'anni, amministratori locali, poeti a braccio, musicisti, scrittori palesi e nascosti, artisti come Mastroianni. Tutti col carattere forte dei castellani, generosi, libertari, puntuti, qualche volta estrosi e falotici; tutti animati da una grande passione civile e politica e da una grande umanità. Con loro ho vissuto una parte importante della mia vita e da loro ho avuto conferma, nel momento giusto, delle nostre ragioni essenziali. Insieme a Gramsci, furono quelle così forti ragioni che riconobbi nella gente di qui a consentire alla "mia insignificante esistenza di essere un po' significante anche lei".

 


L' Associazione Culturale onlus "8 MARZO" di Albano Laziale ha presentato "Conversazione con l'autore: L'opera di Mario Quattrucci". L'evento rientra nelle finalità e negli obiettivi culturali dell'Associazione, da sempre in prima fila nei Castelli Romani per le attività volte alla promozione della cultura nel territorio, alla diffusione del sapere, allo sviluppo sociale. L'incontro si è tenuto presso la "Sala Nobile", di Palazzo Savelli, sede del Comune di Albano Laziale - sabato 24 settembre 2011 alle ore 17.
Hanno partecipato Loredana Massaro, Consorzio per il Sistema Bibliotecario Castelli Romani, Aldo Onorati, giornalista e scrittore, Massimo Marciano, giornalista e presidente dell'Università Popolare dei Castelli Romani. Ha coordinato Ada Scalchi, Associazione "8 Marzo". Un pubblico numerosissimo ha seguito attentamente l'evento e molti hanno partecipato al dibattito che ne è seguito.


BIOGRAFIA
Mario Quattrucci (Velletri, 1936) è uno scrittore e un politico, è stato impegnato per 45 anni nell'attività politica e sociale nelle fila del Partito Comunista Italiano. Ha insegnato all'Istituto Palmiro Togliatti, scuola per dirigenti del PCI e ha fatto parte degli organismi dirigenziali del partito stesso, è stato anche membro del Comitato Centrale. Viene inoltre eletto consigliere comunale, provinciale e regionale, e presidente e segretario regionale del PCI. Ha collaborato a giornali e periodici quali Paese Sera, Ricerche, L'Unità, Rinascita, Critica marxista, Studi Storici, Teorj in praxis, Hortus Musicus, Almanacco Odradek e Avvenimenti. Si è occupato di pittura e teatro e ha pubblicato sei raccolte di versi: La Traccia; Oblò appannato; Materia del contendere; Perché un occhio l'osserva; Variazioni; Gra (Grande Raccordo Anulare); Da una lingua marginale. Ha esordito nella narrativa con il romanzo "A Roma, Novembre", cui hanno fatto seguito "Il Governatore" definito un meloracconto in quattro tempi e poi "La formula". Dalla sua penna nasce la serie di Marè, un attempato e disilluso ma non arreso, questurino romano protagonista di nove romanzi tutti pubblicati da Robin Edizioni nella collana "I luoghi del delitto".

 


BIBLIOGRAFIA

  • Mario Quattrucci, Da una lingua marginale, Roma, Robin Edizioni, 2011.
  • Mario Quattrucci, Fattacci brutti a via del Boschetto. L'ultima inchiesta di Marè, Roma, Robin Edizioni, 2010.
  • Mario Quattrucci, Marè in luogo di mare. Interludio. Le inchieste del commissario Marè, Roma, Robin Edizioni, 2009.
  • Mario Quattrucci, Che spettacolo, commissario Marè. Ritratto di gruppo con showgirl, Roma, Robin Edizioni, 2008.
  • Mario Quattrucci, Troppi morti, commissario Marè, Roma, Robin Edizioni, 2007.
  • Mario Quattrucci, È novembre, commissario Marè. Le inchieste del commissario Marè, Roma, Robin Edizioni, 2006.
  • Mario Quattrucci, Gra. Poesie, Roma, Quasar, 2006.
  • Mario Quattrucci, Una vedova per Marè. Delitti in art nouveau, Roma, Robin Edizioni, 2006.
  • Mario Quattrucci, Questione di tariffe, commissario Marè, Roma, Robin Edizioni, 2005.
  • Mario Quattrucci, Hai perso, commissario Marè, Roma, Robin Edizioni, 2004.
  • Mario Quattrucci, Troppi morti, commissario Marè, Roma, Robin Edizioni, 2003.
  • Mario Quattrucci, La formula (Hardboiled), San Cesario di Lecce, Manni, 2002.
  • Mario Quattrucci, Il governatore. Meloracconto in un prologo, quattro atti e un epilogo, San Cesario di Lecce, Manni, 2001.Mario Quattrucci, Variazioni. Versi 1999-2000, Roma, Fermenti, 2001.
  • Mario Quattrucci, A Roma, novembre, Roma, Quasar, 1999.
  • Mario Quattrucci, Materia del contendere, Roma, Quasar, 1992.
Per la rubrica Pepite - Numero 105 ottobre 2011