Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Centri Storici

Città di profilo: ai piedi di Frascati

Il paesaggio insidiato dall’avanzata di Roma

Sul colle di Tuscolo, smagliante e solitario, che accoglie nel suo verde declivio, come in una siepe di smeraldo, la radiosa Frascati, non fioriscono soltanto le ginestre e le viole; fioriscono e s'intrecciano, dense di nostalgia, leggende e memorie; fiorisce nell'abbandono degli uomini un silenzio fatto di sogno e di mistero; fiorisce dalla poesia delle morte cose un arcano senso di vita; le rovine sparse sembrano quasi rivivere nella luce immensa che sgorga da trenta secoli di glorie e di sventure! Haec est tellus Diis sacra!" (Le cento città d'Italia, 1927, Frascati, la radiosa Tuscolo, casa editrice Sonzogno, Milano, fascicolo 163). (Fig.3).
Dunque ecco Frascati, "la radiosa" cittadina dei Colli Albani, ricca di ville prestigiose, storia, cultura e vini ambrati delle feconde colline. "Per tutto questo la gentile città Tuscolana va celebrata: poi anche per il suo biondo nettare, il dolce vino che sa attrarre gli uomini come un piccolo genio tentatore, dal sorriso malizioso e dagli occhi scintillanti...".
Fortune e sventure sono legate alla storia di Roma che conquista, annette, distrugge, ricostruisce. " Della sua romanità e della sua rinascenza Tuscolo, come una piacente sirena, fa sfoggio e seduce tra il fascino della natura ed il sorriso del più ridente e luminoso cielo".
Al visitatore che nei primi tre quarti del '900 giungeva da Roma, Frascati si presentava adagiata su tre vaste terrazze, tutte immerse nei parchi (Fig.2), e immersa nei giardini di cui era ed è ricca la città. Piazza Vittorio Emanuele, il santuario delle Scuole Pie ed il borgo di San Rocco, collegati da strade e comode scalinate accompagnavano i visitatori nei percorsi cittadini tra piazzette, fontane, belvedere con viste mozzafiato. Colpiva, si legge nelle descrizioni dell'epoca, soprattutto la "grandiosità del panorama che, giungendo, si gode dalla piazza Roma che si distende vasta e bella dinanzi alla scenografia della villa Aldobrandini. Volgendosi a nord, si domina la distesa ondulata della campagna Romana, limitata all'orizzonte dal profilo biancheggiante dell'Urbe".
Tutto intorno la campagna rifulgeva dei suoi colori più caldi, il rossiccio, il verde, il viola, ricca di campi e solcata dai filari dell'uva, dagli ulivi e più avanti gli acquedotti, le magnifiche rovine. Fortunato l'ospite che godeva di tutto questo. Quella città, fantastica, gentile, per chi giunge oggi da Roma dalla parte di Tor Vergata, appare ancora incastonata nelle pendici del Vulcano Laziale, che nell'alternarsi dei pendii e nel profilo dei crateri rammenta la sua tormentata geologia, ma sembra assediata dall'immenso dilagare della periferia che cancella piano piano i segni ancora chiari della grande fatica dell'uomo che ha adattato la terra alle necessità del vivere. Ai suoi piedi i confini si confondono nell'avanzata delle costruzioni che sembrano puntare al cuore della città Tuscolana. L'"orizzonte" con il profilo biancheggiante della periferia di Roma è ormai oltre le porte.
Da lontano Villa Aldobrandini brandisce come armi di difesa le sue storiche strutture, osserva, in silenzio, l'immensa distesa grigia che si avvicina. (Fig.1).
Paesaggi che mutano in un solo giorno, alla velocità del vento, che non trasporta più il profumo delle ginestre, delle viole, degli ulivi e del mosto.
Nella distesa della pianura spuntano le strutture metalliche della città dello sport progettata da Santiago Calatrava architetto spagnolo di grande talento ed emotività compositiva (Fig.4-5). Le linee delle travi di copertura competono e si confrontano con i rilievi dei Colli Albani, la costruzione si appropria del territorio senza mimetizzarsi, anzi mostrando la sua presenza nel tentativo nobile di trasformare con la qualità e bellezza dell'architettura contemporanea il paesaggio che si trasforma; ma forse Calatrava da solo non basta.
La città nuova, quella conurbata, lo sprawl edilizio, il disordine diffuso, possono arrestare la loro corsa che divora le campagne, la terra, il cibo, il sostentamento primario delle persone? Esiste un rimedio per far convivere modernità e storia? Possiamo risparmiare i territori per le future generazioni? La campagna deve necessariamente scomparire? (Fig.6)

Per la rubrica Centri Storici - Numero 100 aprile 2011