Vivavoce - Rivista d'area dei Castelli Romani

RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Biblioteca di Trimalcione

…Maladéti i Zorzi Vila!*

Vita e avventure della famiglia Peruzzi, da Codigoro all’Agro Pontino

Con il romanzo "Canale Mussolini" edito da Mondadori, Antonio Pennacchi si è aggiudicato il Premio Strega 2010, il prestigioso riconoscimento del più importante concorso letterario italiano, giunto quest'anno alla sessantaquattresima edizione. La sua storia avvincente, narrata con linguaggio semplice e diretto, è innanzitutto il racconto di una straordinaria epopea familiare, i cui i protagonisti, dediti ad una sorta di nomadismo agricolo legato all'andamento delle stagioni, erano soliti spostarsi da un podere all'altro, prestando la propria opera come mezzadri. Dotati di una imponente forza lavoro costituita da ben diciassette figli, i Peruzzi, provenienti dalla pianura padana, scandiscono così con le loro vicende familiari, cinquant'anni di vita italiana, dall'ascesa del regime fascista alla seconda Guerra Mondiale, e se è vero - come afferma l'autore - che i personaggi del romanzo sono pura opera di fantasia e non tutte le vicende narrate sono da ascrivere allo stesso nucleo familiare, gli episodi riportati sono in ogni caso verosimili e dunque fedelmente riprodotti come potevano essere accaduti in quei luoghi e in quel tempo. L'appassionante viaggio nella memoria ripercorre le drammatiche circostanze che costrinsero la famiglia Peruzzi ad abbandonare la propria terra d'origine, per cercare fortuna nella paludose terre dell'Agro Pontino, come si dichiara chiaramente nell'incipit del romanzo: "Per la fame. Siamo venuti giù per la fame. E perché se no? Se non era per la fame restavamo là. Quello era il paese nostro. Perché dovevamo venire qui? Lì eravamo sempre stati e lì stavano tutti i nostri parenti. Conoscevamo ogni ruga del posto e ogni pensiero dei vicini. Ogni pianta. Ogni canale. Chi ce lo faceva fare a venire fino qua?..." Apprendiamo così che negli anni Venti del secolo scorso, dopo aver dimorato a Codigoro, nel ferrarese, essi si trasferirono a Ca' Bragadìn, per lavorare gli sconfinati possedimenti del conte Zorzi Vila; grazie ad una terra particolarmente fertile, all'abbondanza di manodopera e alle condizioni particolarmente favorevoli previste dal contratto stipulato con il conte, la loro situazione economica subì un netto miglioramento. Sono anni di crescita e benessere per l'intero nucleo familiare, tuttavia presto cancellati dall'avvento della quota 90**, il provvedimento varato dal governo, allo scopo di rafforzare la valuta nazionale contrastando gli effetti sfavorevoli di un'inflazione ormai inarrestabile. L'economia rurale subisce il danno più pesante con il conseguente ribasso del prezzo dei prodotti agricoli***. Il conte Zorzi Vila, proprietario del latifondo, si accanisce sui Peruzzi pretendendo, oltre alla spartizione del raccolto nella misura del cinquanta per cento, anche il pagamento contestuale delle spese, ma in lire, e mentre i Peruzzi erano convinti di ripianare il proprio debito, anno dopo anno, con una parte del raccolto, accumulavano invece un debito sempre più consistente. Un debito che, con il calo del prezzo del grano, non sono naturalmente in grado di ottemperare. Essi vengono così non soltanto sfrattati dalle terre del conte, ma costretti altresì a cedergli tutte le loro bestie. E fu proprio in quell'occasione che lo zio Adelchi, divenuto una furia per l'ingiustizia subita - tanto che mia nonna diceva "L'è diventà mato" - dopo aver prelevato dal solaio la pistola del fratello Pericle, si era messo a strillare e sparare nell'aia gridando verso il fattore "At cớpo, at còpo". E solo l'intervento provvidenziale dei Carabinieri e il gesto magnanimo del conte, che aveva ritirato la denuncia, l'avevano salvato. Così Pericle e Adelchi Peruzzi, che erano i più grandi tra i fratelli, cercando di trovare una soluzione allo stato di estremo bisogno in cui si trovava la famiglia, inforcarono le biciclette, perché ovviamente non avevano i soldi per il treno, e partirono alla volta di Roma. Il viaggio durato circa sei giorni, si concluse con l'avventuroso arrivo a Palazzo Venezia ed il successivo colloquio con Edmondo Rossoni, amico di famiglia, nonché segretario del capo del governo, il quale ribadita l'assoluta impossibilità di recuperare il bestiame, legalmente detenuto dal conte, prospettava però agli stessi la possibilità di ottenere in proprietà due o tre poderi, trasferendo l'intera famiglia nelle terre dell'Agro Pontino. La zona tristemente nota per il suo paesaggio inospitale, era dominata infatti dagli acquitrini e infestata dalla zanzara anofele, portatrice della malaria. E' da qui che ha inizio la grande avventura dei Peruzzi che giunsero a Piscinara - allora già prosciugata - nei pressi della città che fu poi fondata con il nome di Littoria (l'attuale Latina), insieme a numerose famiglie provenienti dal Friuli, dal Veneto e dal Ferrarese. In quegli anni invero ci fu un vero e proprio esodo della popolazione dal nord al centro sud: un afflusso stimato in circa "trentamila persone migrate nello spazio di tre anni"; nuovi abitanti con usi, costumi e soprattutto dialetto completamente differenti. Il primo impatto degli immigrati del nord con gli abitanti del luogo non fu certamente idilliaco: gli autoctoni apostrofavano i nuovi arrivati con l'epiteto di "Polentoni" o "Cispadani", mentre questi ultimi li definivano a loro volta con disprezzo "Marocchini". Le terre dell'Agro inoltre, non erano state ancora completamente strappate alla palude, ampie zone ne erano ancora invase e sopraffatte: "oltre settecento chilometri quadrati di pantani, stagni, foreste impenetrabili con serpenti di oltre due metri e stormi di zanzare anofele che guai a chi ci entrava. Se non finivi nelle sabbie mobili t'attaccavano la malaria, le zanzare, ed eri fatto...". Paesaggi già dettagliatamente descritti nel Settecento e nell'Ottocento, attraverso i diari di viaggio di scrittori come Goethe, Stendhal, Madame de Staël. I numerosi tentativi di bonifica della zona, attuati nel corso dei secoli, non avevano infatti prodotto risultati apprezzabili. Si continuava a morire a causa della malaria che, nelle forme più pericolose come "la perniciosa o la terzana, era in grado di uccidere nel giro di appena quarantotto ore con febbri che raggiungevano la temperatura di oltre 42°". Fra i più esposti erano proprio gli operai impiegati nell'opera di bonifica; questi ultimi una volta infettati dal morbo venivano trasportati all'Ospedale di Velletri dove ufficialmente, come voleva la propaganda di regime, morivano di "meningite o di infarto", e non di malaria che doveva risultare già debellata. Nel 1928 inoltre si dava inizio alla costruzione del Canale Mussolini, lungo ben trentuno chilometri, realizzato in un arco di tempo di circa otto anni. Il condotto "parte lungo lungo fronteggiando il piede dei Lepini e poi volta a sud, a solcare il piano raccogliendo man mano il Teppia, il Fosso di Cisterna e tutti gli altri che arrivino dai Colli Albani. Lui li raggruppa tutti, poi taglia la duna quaternaria e porta ogni acqua direttamente a mare [...] E' il Canale Mussolini che dà vita a tutto l'Agro e se non ci fosse lui, staremmo di nuovo tutti sott'acqua..."Anche i Peruzzi dettero il loro contributo alla realizzazione di quest'imponente opera di ingegneria idraulica, sebbene nella parte conclusiva del progetto, dal momento che al loro arrivo ne era già stata realizzata buona parte (circa il cinquanta per cento). In tutto il territorio inoltre, vennero piantumati centinaia di eucalypti, piante dalla crescita velocissima, dotate di una straordinaria capacità di assorbimento delle acque e capaci di allontanare la zanzara anofele. Sono questi gli anni che vedono la nascita di cittadine che recano nei nomi e nell'architettura, l'impronta del nuovo regime, come Sabaudia, Pontinia, Aprilia, Pomezia. I Peruzzi trovano nell'Agro non soltanto una pianura da bonificare: in qualità di coloni, viene assegnata loro un'abitazione unitamente ad alcuni terreni coltivabili: il podere 517. Qui la famiglia ritrova la sua unità, qui si celebrano i matrimoni e avvengono le nascite dei nuovi componenti del nucleo familiare. Qualcuno partirà per combattere una delle tante guerre che hanno funestato l'Italia nella prima metà del secolo, per un viaggio senza ritorno. Fra le pagine, scorre così una galleria di personaggi indimenticabili, i componenti della famiglia Peruzzi, uomini e donne tenaci, dalla spiccata personalità, che Pennacchi descrive in modo impeccabile, restituendoci al tempo stesso la storia delle migliaia di famiglie emigrate nell'Agro. Canale Mussolini è un libro straordinariamente coinvolgente, a tratti spassoso, talora commovente: l'uso ripetuto di termini dialettali che infarciscono i dialoghi dei protagonisti, ne rende l'eloquio irresistibile; "dialetto veneto-pontino l'ha definito l'autore, contaminato da influenze laziali e arricchito dall'apporto di ferraresi, trevigiani, rovigotti, etc. che popolavano l'agro nonché da quello personale dell'autore".

 


Note
* Si tratta dell'anatema, indirizzato alla nobile famiglia dei Zorzi Vila, i latifondisti responsabili delle numerose traversie patite dalla famiglia Peruzzi, allontanata dalla propria terra e costretta ad emigrare nell'Agro Pontino. L'imprecazione ricorre decine di volte, durante l'intero svolgimento della narrazione, ricordando al lettore l'ingiustizia subita.
** Per rafforzare e dare stabilità alla moneta nazionale contrastandone il processo di svalutazione, il Governo ricorse alla cosiddetta quota 90. Si fissò cioè il cambio a 90 lire per 1 sterlina ("Sterlina inglese che nel settembre del 1926 aveva toccato la cifra record di 149 lire"). Il provvedimento penalizzò fortemente le esportazioni, diminuì drasticamente i salari mentre al contempo favorì l'incremento delle importazioni di materie prime per l'industria con costi minori.
***Per risanare il comparto dell'agricoltura, furono varati importanti provvedimenti tra i quali ricordiamo in primo luogo la famosa "Battaglia del grano"; per quanto concerne le grandi opere pubbliche, nel 1929, in particolare, si decretò la realizzazione della bonifica dell'Agro Pontino (1929-1936).
E in una mattina della Vigilia di Natale del 1941, quando ormai non si sapeva più nulla di Pericle e di Iseo, i figli partiti per la guerra in Africa...

 


[...] Poi la mattina presto della vigilia di Natale del 1941 - che lei s'era alzata proprio per fare i cappelletti, per il giorno dopo - appena ammazzate le galline per fare il brodo ed il ripieno dei cappelletti, appena tirato il collo e schiacciatolo ben bene dentro un cassetto per lasciarle penzolare negli ultimi spasmi delle ali allargate, prima ancora di cominciare a spennarle, ha detto a mio nonno che scendeva dalle scale: «Agò sognà un manto nero stanotte». «Va in malora ti e il tó manto nero, bruta stròlega» ha risposto mio nonno, ma lo ha detto dolce e non irato e l'ha presa per le spalle e la voleva abbracciare, con gli occhi già pieni di pianto, perché anche lui aveva grosso il magone pei figli, per tutti i figli in giro per il mondo, ma soprattutto per quei due in Africa, Pericle e l'Iseo. Mia nonna lo ha scansato con la gallina in mano: «Agò da fare», e ha continuato il lavoro suo. Ha aggiunto legna al fuoco del camino, saggiato con la mano il calore dell'acqua nel paiolo, preparato l'orzo e fatto bollire il latte per la colazione di tutti quanti, e infine ha spennato le due galline. Una volta nude, ha tolto un attimo il paiolo, riattizzato la fiamma e passato su e giù e per ogni verso le galline sulla fiamma - per bruciare nell'odore acre i residui delle penne - e poi s'è messa a pulirle tagliando loro il collo, aprendole e togliendo le interiora. Le ha tagliate ognuna in due tocchi grossi che ha messo a bollire. Poi altre faccende e quando sono state le dieci - che il brodo era quasi pronto - ha impastato la farina con le uova rotte in mezzo. Tira e stendi la sfoglia con il mattarello. Cotte le galline le ha tirate fuori, le ha spolpate, e con il coltello a battere sul tagliere le ha tritate. Ha tritato anche un cotechino ed un salame. Ha messo tutto insieme - con un po' di prezzemolo, odori, noce moscata - ha mischiato il tutto, ci ha aggiunto una o due uova e il ripieno era pronto. I ragazzini lì intorno ad aspettare. Ha preso una sfoglia da sopra la madia - dove le aveva messe ad asciugare - e l'ha ristesa sul tavolo. Un'altra spruzzata di farina sopra e con la punta del coltello l'ha incisa tutta a quadratini, tracciando prima delle grandi righe verticali da un capo all'altro, e poi orizzontali. A scacchiera. Su ogni quadratino ha posato un pizzico del ripieno e poi ha detto: «Via!». E tutti i ragazzini di corsa a chiudere i quadratini uno per uno sopra il ripieno finché la tavola era piena di tanti piccoli cappelli con il rialzo della carne in mezzo e le tese larghe, ai lati. Erano un rito i cappelletti a Pasqua e Natale - non era Pasqua e Natale se non c'erano i cappelletti - e per i ragazzini era una festa, perché era di norma che qualcuno ogni tanto, dentro un cappelletto, insieme al ripieno ci mettesse un bottone. Poi il giorno dopo - Natale - era tutta un'attesa ad aspettare chi lo trovasse e facesse: «Ahi!», mentre tutti ridevano. Mio nonno è così che si giocò l'ultimo dente di sopra. Gli rimase in mano, dove lo risputò insieme al cappelletto.[...]


( da Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, Milano, Mondadori, 2010)

 

Il cappelletto, pasta ripiena tipica romagnola, ricorda nella sua forma quella del galoza, il tipico cappello indossato dai contadini. E' presente con lo stesso nome anche in alcune località delle Marche e dell'Umbria. La ricetta varia molto da luogo a luogo. In particolare il territorio gastronomico dell'Emilia Romagna è diviso tra la Romagna, patria del cappelletto (con un ulteriore specificità per la provincia di Reggio) e l'Emilia, dove trionfa il Tortellino. Pellegrino Artusi afferma che "la farcia classica del cappelletto romagnolo prevede l'utilizzo di ricotta, uova, parmigiano, aromi (pepe, noce moscata, scorza di limone, sale)". L'utilizzo di carne sarebbe un'aggiunta posteriore, limitata tuttavia a petto di tacchino o pollo e lonza di maiale. Per quanto concerne il cappelletto reggiano, a differenza del cappelletto romagnolo, il disciplinare prevede oltre alla tipica forma a cappello, una dimensione massima di tre centimetri (inferiore a quella del tortellino), un peso variabile tra i 20 e i 40 g; l'impiego di carne nel ripieno (stracotto di manzo) oltre a parmigiano reggiano, uova, pangrattato, ortaggi, spezie, sale. La cottura del ripieno deve avvenire lentamente per almeno tre ore, mentre nel tortellino bolognese il ripieno è utilizzato "a crudo". I cappelletti vengono tradizionalmente consumati a Natale, serviti in brodo di cappone. Nel brano tratto da "Canale Mussolini" sopra riportato, i cappelletti sono stati preparati secondo la ricetta di famiglia "ferrarese" dei Peruzzo; di seguito viene proposta la versione dei cappelletti di Reggio; ne esistono naturalmente numerose varianti, a seconda delle famiglie e delle località...probabilmente ne esiste una diversa per ciascuna famiglia reggiana!

 

La ricetta
Cappelletti reggiani in brodo (per 6-8 persone)

Per il brodo: 1 cappone, 1 carota, 1 cipolla, 1 costa di sedano, acqua, sale. Per la sfoglia: 500 g di farina; 5 uova, un pizzico di sale. Per il ripieno: 150 g di manzo, 150 g di vitello, 150 g di polpa di maiale, 1 hg di prosciutto crudo, 150 g di parmigiano reggiano, pangrattato q.b., burro q.b., 1 uovo, noce moscata q.b., sale q.b., pepe a piacere.

Per il brodo. Dopo averle mondate mettete le verdure ed il cappone in una pentola a bordi alti, coprite con abbondante acqua, aggiungete il sale e fate cuocere a fuoco medio fino all'ebollizione, quindi abbassate la fiamma e continuate la cottura a fuoco dolce per almeno due ore. Per la sfoglia. Impastate su di una spianatoia la farina con le uova ed il sale; lasciate riposare il composto coperto per circa un quarto d'ora. Lavorate poi l'impasto fino ad ottenere una sfoglia sottile (circa 3 mm). Per il ripieno. Preparatelo facendo rosolare in una pentola con il burro, le carni di manzo, vitello e maiale; bagnate con il brodo e proseguite la cottura a fuoco dolce per almeno 3 ore. A cottura ultimata, passate finemente nel tritacarne la carne insieme al prosciutto crudo, aggiungete quindi l'uovo, il parmigiano, il pangrattato, la noce moscata, sale e pepe. Mescolate gli ingredienti in modo da ottenere un composto liscio e omogeneo. Ricavate dalla sfoglia, con una rotellina dentata, dei quadrati di circa 3 centimetri di lato, ponete su ciascuno di essi un po' del ripieno, piegate a triangolo, saldando bene i bordi; infine ripiegate i due lembi e uniteli tra di loro ruotandoli intorno al dito indice. Fate asciugare i cappelletti su di un vassoio. Filtrate il brodo, portatelo ad ebollizione, quindi fatevi cuocere i cappelletti.

 


Antonio Pennacchi - Bibliografia
Mammut, Roma, Donzelli, 1994
Palude. Storia d'amore, di spettri e di trapianti, Roma, Donzelli, 1995
Una nuvola rossa, Donzelli, 1998
Antonio Pennacchi, Massimiliano Vittori (a cura di), I borghi dell'Agropontino, Latina, Novecento, 2001
Il fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi, Milano, Mondadori, 2003
Viaggio per le città del duce. I saggi di Limes ed altri scritti, Milano, Terziaria, 2003
Antonio Pennacchi (a cura di), Guidonia, Pomezia. Città di fondazione, Latina, Novecento, 2003
L'autobus di Stalin e altri scritti, Firenze,Vallecchi, 2005
Shaw 150. Storie di fabbrica e dintorni, Milano, Mondadori, 2006
Fascio e martello. Viaggio per le città del Duce, Roma, GLF editori Laterza, 2008 (Edizione riscritta e ampliata di "Viaggio per le città del duce")
Canale Mussolini, Milano, Mondadori, 2010


Curiosità
Dal romanzo "Il fasciocomunista" è stato tratto il film di Daniele Luchetti "Mio fratello è figlio unico" (Italia, Francia, 2007) interpretato da Elio Germano e Riccardo Scamarcio.
Il regista Eugenio Cappuccio, favorevolmente colpito dal romanzo "Canale Mussolini", vincitore del Premio Strega, ha annunciato l'intenzione di trarne un lungometraggio da portare sul grande schermo.
Sulla copertina del romanzo "Canale Mussolini" è riprodotto un particolare di uno dei dipinti del ciclo "La redenzione dell'Agro Pontino" (1934) collocato presso la sala consiliare del Palazzo del Governo di Latina (oggi Prefettura) realizzato da Duilio Cambellotti (Roma 1876-1960). L'eclettico artista nel 1948 realizzerà anche i disegni relativi ai bozzetti scenici per il film "Il cielo sulla palude" di Augusto Genina (Italia, 1949).

Agro Pontino
Bibliografia essenziale

Arturo Tonnarelli-Grassetti, La battaglia del grano e l'agro pontino, Velletri, Tip. Pio Stracca, 1925
Natale Prampolini, La bonifica dell'agro pontino, Reggio Emilia, Tip. R. Goretti e Figlio, 1933
Tommaso Stabile, Agro pontino romano (1700-1971). Modificazioni sociali, economiche ed ambientali, Latina, Libreria editrice Raimondo, 1971
Vincenzo Rossetti, Nostra terra pontina, Roma, Fratelli Palombi, 1985
Oscar Gaspari, L'emigrazione veneta nell'Agro Pontino durante il periodo fascista, Brescia, Morcelliana, 1985
Emilio Franzina, Antonio Parisella, La Merica in Piscinara. Emigrazione, bonifiche e colonizzazione veneta nell'Agro Romano e Pontino tra fascismo e post-fascismo, Abano Terme, Francisci,1986
Corrado Alvaro, Terra nuova. Prima cronaca dell'Agro pontino, Roma, Milano, C. Lombardi, stampa 1989
Cristina Rossetti, I ferraresi nella colonizzazione dell'Agro Pontino, Roma, Bulzoni, 1994
Annibale Folchi, I contadini del duce. Agro Pontino,1932-1941, Roma, Pieraldo, 2000
Alberto Guzzon, Il contributo dei ferraresi alla redenzione dell'agro pontino. Paludi tra storia, legislazione, colonizzazione e il sorgere delle città nuove, Pomezia, Tipolitografia Olympia, 2005
Tommaso Stabile, La bonifica di Mussolini. Storia della bonifica fascista dell'Agro Pontino, Roma,
Settimo sigillo, 2002
Giuseppe Massaro, Il duce nella storia della terra pontina. Dai tentativi di bonifica alle città nuove, Latina, Novecento, 2005
Pietro Incardona, Piergiulio Subiaco, La palude cancellata. Cenni storici sull'Agro Pontino, Latina, Novecento, 2005


Filmografia
Storia di un'avventura meravigliosa. La bonifica delle Paludi Pontine, Borgo Faiti, Museo Piana delle Orme, 2007 (Film-documentario)

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