RIVISTA D'AREA DEI CASTELLI ROMANI

Storia locale

“Gli abitanti di queste parti godono fama di insuperabili banditi”

Storie di briganti nei sentieri dei Castelli Romani

Fin dai tempi dei romani poiché le strade nei dintorni di Roma erano insicure, era vietato per legge piantare alberi ai lati di esse, se non ad una certa distanza e costruire edifici ai margini della via: entrambi potevano essere comodi luoghi d'appostamento e d'imboscata per i briganti. Essi naturalmente operavano ugualmente e le cronache raccontano di continui e ripetuti saccheggi e rapine ai danni dei viandanti. Per la natura del "mestiere" i briganti sono emarginati dalla società che vivono costantemente alla macchia, non conoscono confini, si spostano dallo Stato della Chiesa al Regno di Napoli fino al granducato di Toscana approfittando del terreno accidentato, montuoso, boschivo(1). Il territorio dei Castelli Romani corrisponde perfettamente a queste caratteristiche, e partendo da diverse località castellane,i briganti riuniti in vere e proprie bande organizzavano il crimine su scala allargata, costruendo una serie di contatti tra cose e persone. La capacità di repentino spostamento e l'organizzazione di queste bande brigantesche non avevano nulla da invidiare alla malavita organizzata moderna: il 16 febbraio 1585 un convoglio che trasporta merci viene attaccato nei pressi di Velletri e un mese dopo parte della refurtiva viene ritrovata e recuperata in una grotta nelle parti di Fano. Il fenomeno era talmente esteso che un editto di papa Sisto V sempre in questo anno, 1585, promise taglie di 300 e 500 scudi a chi avesse consegnato vivo o morto un brigante(2).
Il Governatore di Ariccia, quasi un secolo dopo nel 1653, emanò due "taglie", conservate in copia nel Palazzo Chigi di Ariccia nei confronti del terribile brigante Giuseppe Pozzi di Felice Pozzi alias "Feliciotto"della Riccia: la prima dell'8 Agosto imponeva una taglia di cento scudi per la sua cattura ed ebbe un buon effetto come si vede dalla seconda dell'8 settembre che prevedeva pene per "..le singole persone che non ardischino sotto qualsivoglia pretesto di levare o in qualsivoglia modo far levare, o toccare la testa di Giuseppe Pozzi figlio di Felice......." evidentemente catturato(3).
A seguito della politica di repressione pontificia il brigantaggio sembrò subire un arresto momentaneo, che riprese verso la fine del settecento con l'occupazione francese del 1798. Fu allora, o meglio nel 1799, che sui Colli Albani compare una figura molto nota, Michele Pezza, Fra' Diavolo, celebre brigante, diventato "comandante generale" del Regno delle due Sicilie, che accampatosi con l'esercito ad Albano inizia ad effettuare confische di vino e derrate alimentari tra Albano e Ariccia. Infatti il 17 settembre 1799 Fra' Diavolo ordinò al capitano Pietro Alberti possidente ariccino di rendere disponibile tutto il vino che aveva nelle grotte di Ariccia per inviarlo al re del Regno delle Due Sicilie(4).
La caduta della Repubblica Romana e Partenopea significò il ritorno dei Borboni e la Restaurazione in tutti gli stati italiani. Già con Napoleone, dopo la coscrizione obbligatoria, si registrarono ribellioni di massa e le montagne del Lazio meridionale si popolarono di disertori e solo in questa zona si contavano cinque bande di briganti, ai quali si univano, diseredati, poveri, reduci di guerra. Le bande taglieggiavano i viandanti nel percorso che dal corso di Albano portava a Velletri, ossia dall'inizio dei boschi tra Ariccia, Genzano, Lanuvio prima di scendere verso le malsane paludi pontine. Infatti lo scrittore tedesco Johan Gottfried Seume racconta nel suo viaggio in Italia di aver subito un'aggressione ad Ariccia e dopo aver annotato che "gli abitanti di queste parti godono fama di insuperabili banditi" ricorda l'infelice episodio. Durante il suo viaggio di ritorno dal sud della penisola, nella sosta prevista,dopo essere sceso dalla carrozza si addentrò nella selva in cima al pendio tra Ariccia e Genzano sotto Colle Pardo: qui fu assalito da quattro banditi con finte barbe e il viso annerito che lo derubarono (5). Il 30 0ttobre del 1802 il principe Agostino Chigi segnala nel suo diario "Questa mattina verso le 15 al fontanone di Galloro è stato assalito e spogliato un galantuomo di Maenza che se ne andava verso Roma", si trattava certamente della stessa persona e della stessa banda(6).
Massimo D'Azeglio invece nei Miei Ricordi racconta d'aver visto da vicino i briganti, a Cisterna ai margini d'una processione e ai Campi d'Annibale quelli finti, cioè gendarmi travestiti da briganti per infiltrarsi(7).
Si ricorda infine la presenza nelle località dei Castelli Romani del terribile brigante Gasparone, descritto nelle cronache come il brigante galantuomo "crudele con i ricchi e i potenti ma generoso con i poveri e diseredati"(8). Si narra infatti che avesse l'abitudine di passeggiare nei boschi castellani e nei dintorni di Ariccia e di introdursi nelle locande travestito da pastore o contadino. Ne è testimonianza la presenza a Palazzo Chigi di Ariccia di un suo ritratto, eseguito dal vero il 23 settembre 1825 da un artista francese ospite della Locanda Martorelli, tappa per numerosi viaggiatori del Grand Tour(9). In quell'occasione il brigante pernottava lì con la sua banda in condizione di prigionia. Una sosta voluta dalle guardie pontificie prima di riprendere il cammino alla volta delle prigioni di Castel Sant'Angelo. Come è noto il fenomeno del brigantaggio si risolse nel 1865 con una vasta operazione politica e militare del giovane Regno d'Italia: tra il 1860 e il 1865 dovette fronteggiare infatti ben 350 bande di briganti col ricorso ad arresti di massa, esecuzioni sommarie ed incendi dei villaggi.
Nonostante ciò memorie locali ricordano di briganti impiccati presso il curvone poco prima del ponte di Galloro, ancora ai primi del '900 come avvenne anche nel sud della penisola. Si trattava di banditi e briganti solitari, in rivolta contro le sopraffazioni e le ingiustizie come Musolino e successivamente Salvatore Giuliano.
In definitiva anche se dopo le tante catture ed uccisioni il brigantaggio sembrava essere terminato, qualche dubbio veniva espresso da storici e politici come Francesco Saverio Nitti che si chiedeva :
«abbiamo noi rimosse le cause del male? La stessa domanda si rivolgeva venti anni or sono Pasquale Villari, e rispondeva con tristezza che le cause esistono tuttavia. Alcune, e le principali, non solo non sono state eliminate, ma in qualche punto si sono inacerbite....Le terre pubbliche sono state usurpate, usurpate contro la legge, e noi abbiamo assistito spettatori silenziosi a tanto male »(10).

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note

1) Antoni Maczak, Viaggi e viaggiatori nell'Europa moderna, Roma, Laterza, 1994, p.241;
2) Umberto Mariotti Bianchi, Il Lazio e il brigante, in Insorgenza e brigantaggio nel Lazio dal 16.mo al 20.mo secolo , cit., p.9-16;
3)Francesco Petrucci, Ariccia:"Gli abitanti godono fama d'insuperabili briganti", in Insorgenza e brigantaggio nel Lazio dal 16.mo al 20.mo secolo, cit., p.381-382;
4)R. Lefreve, Ariccia giacobina 1798-1799/Cronache e documenti, Ariccia 1990, p.50-51, 96;
5)J. G. Seume(1763-1810), L'Italia a piedi-1802, a cura di A. Romagnoli, Longanesi, 1973, p.162;
6) J. G. Seume, L'Italia a piedi, cit.p.293
7)Massimo D'Azeglio, I miei ricordi, Roma, 1959, p.224;
8) Antonio Gasperoni o Gasbarrone(1793-1880?)conosciuto come il brigante buono, inflessibile con le spie ma generoso con la sua gente, soprattutto con bambini e anziani, divenne un simbolo della lotta contro le ingiustizie. Fu rinchiuso a Castel S.Angelo fino al 1870;
9)Francesco Petrucci, La locanda Martorelli ed il Grand Tour sui Colli Albani, Ariccia, 1997, p.78-79;
10)Francesco Saverio Nitti, Eroi e briganti, Venosa, Osanna Venosa, 2003, p.70-72;

Per la rubrica Storia locale - Numero 88 febbraio 2010